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Direttore responsabile Raffaella Zelia Ruscitto
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Nella rocca medievale sul Monte Amiata si fanno mostre d’arte contemporanea

Intervista a Mirco Marino che ha vinto il bando dedicato alle mostre d'arte contemporanea nella Rocca

PIANCASTAGNAIO.  Francesca Banchelli, Francesco Carone, Rä di Martino e Namsal Siedlecki: questi sono i nomi degli artisti coinvolti da Mirco Marino, il curatore vincitore del primo bando dedicato all’organizzazione di progetti espositivi nella torre medievale toscana.

Pianta quadrata, mura a scarpata prive di aperture e due torri a protezione dell’ingresso cittadino: è in condizioni perfette la Rocca Aldobrandesca di Piancastagnai0, in provincia di Siena, e solo la merlatura danneggiata conserva i segni del tempo e delle battaglie. La torre risalente al XII Secolo ora cambia veste ospitando progetti e mostre d’arte contemporanea, “offrendo ai curatori un’occasione concreta di progettazione e confronto” spiega l’assessore alla cultura Pierluigi Piccini spiegando gli obiettivi del primo bando dedicato alle mostre di arte contemporanea nella Rocca, e rivolto esclusivamente a curatori under 35.

A prevalere è stato Mirco Marino (Prato, 1994) con il progetto Osservatorio Mormorii, realizzato insieme alla storica dell’arte Antonella Nicola e atteso per metà gennaio 2026. Già noto per il suo lavoro presso la collezione del Castello di Ama e per le diverse collaborazioni avute con gallerie e fondazioni italiane, il giovane curatore toscano porterà negli spazi della Rocca le opere di Francesca Banchelli, Francesco Carone, Rä di Martino e Namsal Siedlecki. Volevamo saperne di più e abbiamo gli abbiamo fatto qualche domanda.

Intervista a Mirco Marino, curatore under 35 della Rocca Aldobrandesca

Come è nata la tua passione per la curatela?
La passione per la curatela è nata negli anni dell’università, e più precisamente alla conclusione del triennio al DAMS di Bologna con una tesi sulla mostra Comportamento, a cura di Renato Barilli, ospitata al Centro Pecci di Prato da maggio a settembre 2017. Un progetto significativo per me perché si trattava di un re-enactment (in questo caso inteso come ricostruzione) della Biennale del 1972, Opera e Comportamento, a cura dello stesso Barilli e Arcangeli. Questa faglia temporale e linguistica è stata fondamentale per appassionarmi al mestiere.

 Quali sono state le tue esperienze sul campo?

Durante la magistrale è stata significativa la collaborazione con Officina Giovani, una realtà culturale nata negli ex macelli pubblici di Prato.
Negli anni ho collaborato con diverse personalità e realtà che mi hanno formato, tra queste mi piacerebbe citare Chiara Bettazzi nell’ambito del progetto TAI – Tuscan Art Industry, i progetti con Daniela De Lorenzo, la collaborazione con la galleria Christian Stein per la realizzazione del catalogo di 150 disegni di Jannis Kounellis, a cura di Dieter Schwarz.
Da qualche anno mi occupo anche della collezione del Castello di Ama (di cui sarà presentato un libro il prossimo 28 novembre a Pirelli Hangar -Bicocca, intitolato Castello di Ama: Dell’operosità e della luce, edito da Steidl) dove, lo scorso settembre, ho avuto modo di organizzare l’evento per i cinquant’anni di Amnesty Italia in collaborazione con Art for human rights, presentando la mostra di Matteo Pericoli e una vendita di beneficenza di opere di artisti internazionali.
Infine, tra le mostre che hanno segnato il mio percorso c’è Innesti, dedicata a Pippa Bacca e ospitata a Palazzo Morando a Milano, co-curata assieme a Rosalia Pasqualino di Marineo.

Cosa vuol dire essere un curatore oggi?
A mio avviso essere curatore oggi vuol dire rivestire un ruolo di responsabilità, alla cui base c’è sensibilità e mediazione. Farsi carico della voce e dei progetti degli artisti che vengono seguiti e che nasce a posteriori, ovvero dopo il dialogo e la conoscenza della loro ricerca e dei loro intenti.  Un dialogo che, per quanto mi riguarda, pone un’attenzione particolare al tempo e alle sue diverse declinazioni.

L’arte contemporanea entra nella Rocca Aldobrandesca di Piancastagnaio 

“Osservatorio Mormorii” è il titolo del progetto vincitore del primo bando dedicato alle mostre di arte contemporanea nella Rocca Aldobrandesca. Firmato assieme alla storica dell’arte Antonella Nicola, quali tematiche approfondisce il progetto?
Per prima cosa il progetto intende dare forma all’obiettivo del bando, ovvero riattivare questi piccoli centri e borghi attraverso l’arte contemporanea. Oltre a essere molto suggestivo, lo spazio della Rocca ha una posizione “ossimorica” perché può essere sia intesa come difensiva che panoramica, e per questo è stata oggetto di contesa di importanti casate nella storia.
A oggi la Rocca intende porsi come un osservatorio – per l’appunto – dove l’attenzione è puntata sul tempo che ha sedimentato e ha lasciato delle tracce, creando un percorso dal ritmo ascensionale, ovvero dal basso verso l’alto.

Come avete selezionato gli artisti coinvolti?
Francesca Banchelli, Francesco Carone, Rä di Martino e Namsal Siedlecki sono stati selezionati sulla base del loro lavoro e anche dal loro legame con il territorio (a parte Rä che ha origini romane). Sebbene abbiano approcci e ricerche diverse, tutti e quattro gli artisti sono accomunati da una particolare sensibilità, la stessa che può valorizzare l’aspetto temporale della mostra.

Oltre alla mostra sono previste ulteriori iniziative?
Siamo ancora in fase di progettazione, ma posso dire che tra le iniziative ci piacerebbe chiedere agli artisti di creare degli stendardi che rappresentino Piancastagnaio da donare alla città.

Credi che la Rocca possa diventare un nuovo polo d’arte contemporanea nel territorio?
Difficile poter fare delle previsioni a lungo termine in merito, ma posso sicuramente dire che l’attenzione da parte dell’amministrazione sull’arte e la cultura contemporanea è una solida base per poter avviare un progetto duraturo.

Rocca Aldobrandesca di Piancastagnaio: la storia 

Le prime testimonianze della Rocca Aldobrandesca risalgono al XII Secolo. Nata con funzioni difensive, la fortezza – insieme al castello – appartenne inizialmente all’Abbazia di San Salvatore, per poi essere concessa in feudo alla potente famiglia Aldobrandeschi, già proprietaria di numerosi territori intorno al Monte Amiata.
Nel corso dei secoli, la Rocca e il castello di Piancastagnaio furono al centro delle ambizioni di varie casate nobiliari: dapprima sotto l’influenza degli Orsini, poi della Repubblica di Siena, fino a entrare definitivamente sotto il controllo di Firenze. Nel XVII Secolo i Medici affidarono il complesso ai Marchesi Bourbon del Monte, che ne cambiarono la destinazione d’uso trasformandolo in prigione. Con l’arrivo dei Lorena, nel secolo successivo, la Rocca perse progressivamente la sua funzione strategica e militare. Infine, nel Novecento due importanti interventi di restauro hanno restituito alla struttura il suo aspetto originario, riportandola al fascino severo e compatto delle architetture medievali.

Valentina Muzi 

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