MONTERONI D’ARBIA. La Flai Cgil Toscana e Grosseto, assieme alla Flai Cgil Siena e Grosseto, ha organizzato oggi a Suvignano un importante convegno sulle “Azioni concrete contro lo sfruttamento in agricoltura”, riunendo sindacati, istituzioni regionali, senatori, deputati, le province di Siena e Grosseto e amministratori locali per affrontare il fenomeno del caporalato e dello sfruttamento lavorativo nei campi toscani.

L’evento, coordinato dalla giornalista Simona Sassetti, ha rappresentato un momento cruciale di confronto e di proposta dopo l’attività delle Brigate del Lavoro della FLAI CGIL condotta nelle province di Siena e Grosseto, dove sono stati documentati numeri allarmanti di lavoratori in condizioni di sfruttamento.
Tra gli interventi di apertura da parte della Cgil quello di Alice d’Ercole, segretaria generale Cgil Siena, che ha sottolineato il ruolo della FLAI nel togliere il caporalato dall’invisibilità, in particolar modo in un territorio raccontato da olio e vino di alta qualità. Non posson esserci prodotti di qualità se dietro ci sono braccia sfruttate
Di seguito, l’intervento di Monica Pagni, segretaria generale Cgil Grosseto, che ha evidenziato come non si possa nascondere il problema, auspicando un marchio sul lavoro buono per tutti i prodotti: la vera forza delle produzioni italiane, facendo capire a tutti che tramite un’etichetta si certifica la dignità di chi lavora, anche e soprattutto delle donne, le più penalizzate dallo sfruttamento lavorativo, soprattutto in agricoltura.
Il report delle Brigate del Lavoro: numeri che parlano di sfruttamento sistematico
Andrea Biagianti, Segretario FLAI CGIL Siena, ha illustrato il dato più eloquente: in soli tre giorni di campagna informativa e di incontri, le Brigate hanno incontrato più di 600 lavoratori, soprattutto nelle iniziative portate avanti all’alba. Alla partenza della manovalanza verso i campi. «Si tratta di un numero che non lascia spazio a interpretazioni: parliamo di sfruttamento diffuso e capillare – dice Biagianti – La ricerca ha rivelato un sistema complesso e strutturato di precarietà. Centinaia di lavoratori vengono assunti contemporaneamente dalle cosiddette aziende senza terra, che non hanno alcun ruolo se non reclutare addetti alle coltivazioni. Spesso forniscono loro paghe che non rispettano i contratti provinciali, con scale gerarchiche dove basta saper guida re un furgone o sapere qualche parola in italiano per guadagnare di più. Gli stipendi vengono accreditati tramite carte prepagate gestite da “responsabili” scelti dai caporali, rendendo impossibile ogni tracciamento».
Ma il problema è ancora più profondo: parliamo di sfruttamento “legalizzato”, dove la busta paga in effetti esiste, ma non certifica che il lavoratore lavora 12 ore rispetto alle sole 4 registrate. La maggior parte opera in “grigio” con buste paghe irregolari. Queste ditte “senza terra” sono assistite da consulenti, generano debiti con il fisco, chiudono e riaprono magari tramite parenti. Una ruota che non smette mai di girare, a danno di lavoratori e comunità.
«In provincia di Siena, la stragrande maggioranza dei lavoratori viene arruolata dai caporali davanti ai CAS (Centri di Accoglienza Straordinaria), che ospitano oltre mille persone nella provincia – ricorda Biagianti – Con una concentrazione massiccia nella Val di Chiana. A Chianciano ci sono tre CAS con oltre 300 ospiti. Le Brigate hanno intercettato nelle loro vicinanze giovani immigrati, molti dei quali non sembravano neanche maggiorenni, arrivati in Italia da soli tre giorni e già pronti per salire su un pulmino verso il primo caporale».
Paolo Rossi, segretario FLAI CGIL Grosseto, ha confermato la gravità della situazione nella provincia grossetana. «400 lavoratori caricati in una mattinata in una ventina di furgoni, con flussi lavorativi ben organizzati, non è uno scherzo – ricorda Rossi – Dalla zona nord si va verso il lavoro boschivo, da altre aree verso ulivi e uva. Da Grosseto partono colonne verso il Lazio, arrivando fino a Latina per la raccolta degli agrumi. Tra Arcidosso e Castel del Piano, su 826 lavoratori totali in agricoltura, l’80% si sono rivelati essere stranieri. Le aziende senza terra più grandi si trovavano proprio in questi comuni, dove, a differenza di altre indagini, gli insediamenti sono stanziali: le aziende comprano case e le affittano in paesi e comuni limitrofi per farci abitare i lavoratori».
Un rappresentante aziendale incontrato una delle mattine in cui le Brigate del lavoro erano in attività ha raccontato di avere 120 dipendenti e 8 case. Numeri sproporzionati che raccontano anche in quali condizioni alcune persone siano costrette a vivere per lavorare. «Il territorio grossetano è divenuto un vero dormitorio di lavoratori diretti nel senese – ha detto Rossi – I caporali non sono più semplici guidatori di pulmini: sono direttori di produzione, arrivano con pickup enormi, controllano il lavoro, ripartono. Dietro hanno legali e professionisti che li supportano».
«Dobbiamo ricordare che chi è ospite in un CAS non può avere lavoro che generi reddito superiore all’assegno sociale che viene erogato come aiuto – ricorda Biagianti – Un elemento che favorisce di per sé la logica dell’illegalità. Se il lavoratore dichiarasse il reddito reale, verrebbe espulso dall’accoglienza. Con il lavoro nero o “grigio” non viene legalizzato nulla, creando un rapporto di subordinazione profonda allo sfruttatore. Un sistema perverso che vincola i lavoratori alla clandestinità».
La complessità aumenta ulteriormente con i “servizi” strutturati offerti dai caporali, leciti e illeciti. «Parliamo di richieste di servizi tramite SPID che vanno da 30 a 70 euro, pratiche di asilo da 100 a 150 euro, accompagnamento in prefettura per qualche centinaio di euro, tutto secondo un tariffario ben definito – puntualizza Rossi – Si arriva fino ai matrimoni in bianco, dove vengono offerti “moglie o marito con cittadinanza” per 5-10 mila euro. Vengono anche stipulati contratti per i flussi da 5mila a 8mila euro. L’arruolamento viene fatto nel paese d’origine, con indebitamento prima della partenza, poi trasporto in aereo o treno. Il caporale poi dice di andare a ritirare il permesso di soggiorno per il lavoratore, ma questo non avviene e risultato è che lo costringe a vivere in clandestinità».
Le proposte della FLAI CGIL per sconfiggere il caporalato
Biagianti ha poi evidenziato come sia significativo che nei giorni successivi alle attività delle Brigate siano usciti una serie di comunicati dell’ispettorato del lavoro e delle istituzioni e forze dell’ordine riconducibili al lavoro della FLAI CGIL Toscana fatto in quei giorni.
«Ma l’approccio puramente repressivo non funziona. Occorrono percorsi di legalità strutturati – dice Biagianti – come la checklist del contoterzismo. Sulla scia dell’esempio positivo della provincia di Treviso, un’azienda contoterzista è chiamata a dichiarare la sua legalità secondo alcuni parametri. Non è una soluzione miracolosa, ma un gran segnale. Alcune aziende committenti dello sfruttamento agiscono con piena consapevolezza, altre no. È importante distinguere».
«L’istituzione della Sezione territoriale della Rete del lavoro di qualità in agricoltura, nata dopo grande pressione dei sindacati sulle istituzioni è un altro elemento che cambia il quadro – puntualizza Biagianti – Così come la presa in carico dei lavoratori da parte del sindacato e delle istituzioni, mediante il coinvolgimento dei CAS».
«Togliere il centro dei servizi ai caporali e trasferirlo al sindacato, aiutato da mediatori culturali significa intercettare centinaia di persone che altrimenti si rivolgerebbero al caporale – specifica Rossi – Servono più controlli più stringenti, anche sullo storico delle aziende, e una burocrazia più vicina ai lavoratori. L’istruzione è fondamentale. Partire dalle “cose piccole”: far conoscere la lingua, fornire diplomi, spiegare le regole da conoscere è l’inizio di un percorso che parla di legalità».
Agire sulla prevenzione è una delle soluzioni anche per Silvia Guaraldi, segretaria nazionale Flai Cgil. «La legge 199 del 2016 a contrasto del caporalato introduce gli indici di coerenza – puntualizza Guaraldi – si tratta di uno strumento che mette a confronto la quantità e la tipologia di manodopera impiegate con il tipo di lavoro da svolgere e la superficie da coltivare. In questo modo è possibile rilevare se per una determinata coltura o per una specifica superficie il numero di lavoratori sia congruente, oppure se ci siano incongruenze che evidenziano sfruttamento: ad esempio, troppi lavoratori per una superficie modesta, oppure paghe sproporzionate rispetto alle ore effettivamente lavorate. Vorremmo che questo indice agisse in via preventiva, permettendo alle autorità di intercettare subito situazioni irregolari e di emergere legalità o irregolarità prima che il danno sia già compiuto. L’obiettivo è mettere in pratica quello che ancora manca completamente alla legge: una sinergia operativa tra tutti gli attori, dalla cabina di regia nazionale alle sezioni territoriali, affinché questi dati siano raccolti, analizzati e utilizzati per trovare soluzioni ad hoc. Perché ogni territorio ha le sue peculiarità, e non possiamo applicare ricette uguali a situazioni diverse».
Mirko Borselli, segretario generale Flai Cgil Toscana, a conclusione dell’incontro, tira le fila delle proposte raccolte invitando le istituzioni all’azione. «Le Brigate del Lavoro hanno fatto emergere una realtà che non può più restare invisibile: un sistema dove le aziende senza terra e il caporalato costituiscono una struttura diffusa e radicata – ha detto Borselli – Le soluzioni devono essere strutturali e coordinare tutti gli attori: sindacati, istituzioni, aziende. Il marchio del lavoro buono potrà così essere non solo un’immagine di promozione, ma un lavoro culturale profondo che coinvolge le comunità locali, gli amministratori, le aziende».
«La formazione, la sicurezza sul lavoro, l’educazione linguistica sono strumenti per dare a questi lavoratori una vera capacità di autonomia. E tutto ciò deve avvenire in coordinamento tra istituzioni, in un dialogo proficuo che faccia pensionare la Bossi-Fini e faccia invece camminare meglio, anzi correre, la legge 199 del 2016»
La lotta continua
L’evento di Suvignano rappresenta un punto di non ritorno. Ora la palla è alle istituzioni, chiamate a dare risposte chiare davanti a un sindacato che è pronto a dare il proprio contributo più di quanto non abbia già fatto. Le Brigate del Lavoro della FLAI CGIL hanno fatto luce su una realtà intollerabile. Nel 2025 non possiamo permetterci di ignorare persone sfruttate in questo modo: è una vergogna per tutti. Le proposte sono concrete, le soluzioni sono possibili. Occorre ora la volontà di metterle in atto.
La legalità è l’unico perimetro in cui affermare la libertà di ciascuno di noi, come ha detto Gabriele Berni, sindaco di Monteroni d’Arbia, riprendendo l’insegnamento di Giovanni Falcone. Questo è il compito che ci attende.






