"Occorre una visione capace di integrare tutela, sviluppo e bellezza"

di Pierluigi Piccini
ASCIANO. Il saloncino delle Piramidi ha ospitato nei giorni scorsi l’assemblea pubblica che ha ribadito il “No all’eolico nelle Crete Senesi”. Un incontro molto partecipato, con cittadini, studiosi e associazioni uniti nella difesa di uno dei paesaggi più riconoscibili d’Italia. Ma ridurre tutto a un fatto locale sarebbe un errore.
Ciò che accade nelle Crete Senesi racconta un conflitto più profondo: tra due idee di futuro. Da un lato, la transizione ecologica trasformata in mercato, in occasione di profitto; dall’altro, il paesaggio come bene comune, come luogo di identità, misura del limite e della memoria.
Le Crete non sono un vuoto da riempire con pale eoliche alte centinaia di metri. Sono un paesaggio costruito nel tempo, fatto di terra e di luce, di lavoro umano e di pazienza contadina. Ogni piega, ogni calanco racconta un equilibrio fragile tra natura e cultura, tra necessità e bellezza. In questo intreccio vive ciò che Vittorio Sereni chiamava la difesa del paesaggio: non una resistenza nostalgica, ma un gesto di responsabilità. Difendere il paesaggio, scriveva, non vuol dire chiudersi al mutamento, ma custodire il senso del rapporto che lega una comunità al proprio mondo.
La transizione ecologica, se vuole essere davvero tale, deve partire da qui: dal rispetto per i luoghi e per la loro storia. Altrimenti si riduce a un nuovo colonialismo energetico, che cancella i territori in nome di un’efficienza astratta. In assenza di una legge chiara sulle aree idonee e non idonee, la pianificazione cede il passo alle logiche speculative, e i cittadini si ritrovano costretti a difendersi con ricorsi e assemblee. È un modello che tradisce l’idea stessa di partecipazione e scarica sulla società civile il peso dell’inerzia politica.
Difendere le Crete Senesi non significa opporsi al futuro, ma pretendere che il futuro abbia una forma umana. Le energie rinnovabili sono necessarie, ma non possono essere imposte senza ascolto. Occorre una visione capace di integrare tutela, sviluppo e bellezza, evitando di trasformare la sostenibilità in una parola vuota.
Il paesaggio, infatti, non è solo un bene estetico: è un bene morale ed economico insieme, una risorsa viva da cui dipendono l’agricoltura, il turismo, la qualità dell’abitare. Distruggerlo in nome della “green economy” è una contraddizione che misura la distanza tra l’idea di transizione e la sua pratica.
Sereni lo aveva intuito con la lucidità dei poeti: “Il paesaggio è la misura della nostra civiltà, la forma visibile del nostro modo di stare al mondo.” E altrove annotava che il paesaggio “non è qualcosa da guardare, ma da vivere e difendere come una lingua madre”.
Difendere le Crete Senesi, allora, significa difendere noi stessi: la nostra lingua comune, la memoria di un equilibrio possibile tra uomo e natura, progresso e limite, tecnica e grazia.
Le Crete non chiedono di restare immobili: chiedono di essere ascoltate.