
Le indagini, coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica di Reggio Calabria, si sono protratte dal settembre del 2008 fino alla fine del 2009, ma hanno consentito di far luce su fatti estorsivi risalenti finanche al 1994. I Carabinieri hanno infatti accertato svariate estorsioni commesse nei confronti di diverse ditte che si erano aggiudicate degli appalti pubblici nel comprensorio di Giffone, delineando un quadro nel quale, per gli imprenditori che intendevano effettuare lavori di urbanistica ed edilizia pubblica, era una consuetudine dover cedere una parte sostanziale dei loro profitti alla criminalità organizzata. Dal 1994 al 2009 le estorsioni ed i taglieggiamenti si sono ripetuti senza soluzione di continuità con le medesime modalità, matrici e richieste. L’elemento che ha caratterizzato questi crimini è stato lo strumento di persuasione che, come accade spesso nelle terre permeate da forti indici di criminalità organizzata, è consistito in reiterati danneggiamenti a mezzi di cantiere, attrezzature e materiali.
Gli imprenditori sono stati stretti per anni in una morsa che li ha indotti a ritenere che il male minore fosse quello di sottostare alle pretese antigiuridiche di persone prive di scrupoli. Proprio queste modalità hanno indotto l’A.G. inquirente a contestare l’aggravante ad effetto speciale dell’aver commesso il fatto con metodi mafiosi.
Le prove sono state raccolte grazie ad una serie di complessi accertamenti, tra cui intercettazioni ambientali e telefoniche, pedinamenti, servizi di osservazione a distanza e vari riscontri, necessari per definire il quadro probatorio che ha fatto luce sul preoccupante fenomeno estorsivo, che nel centro abitato di Giffone era diventato una consuetudine per tutte le imprese che si aggiudicavano appalti pubblici.
L’attività investigativa trae le sue origini dall’arresto, nell’agosto del 2008, di Francesco Larosa che venne colto nella flagranza del reato di coltivazione di una piantagione di canapa indiana, nella fascia aspromontana compresa tra i comuni di Cinquefrondi e Giffone. In quella circostanza, una seconda persona riuscì ad eludere l’intervento dei Carabinieri, fuggendo tra la vegetazione e gli anfratti, che in quella zona sono particolarmente impervi.
I successivi approfondimenti hanno rivelato da subito che le attività criminose in cui Francesco Larosa era direttamente impegnato non erano esclusivamente riconducibili alla coltivazione ed all’eventuale commercializzazione di sostanze stupefacenti, ma riguardavano anche un ambito criminale completamente diverso, quello appunto delle estorsioni.
L’indagine, avviata inizialmente con lo scopo di identificare il secondo responsabile della coltivazione illecita e di fare luce sui canali di distribuzione dello stupefacente, è stata progressivamente rimodulata di pari passo con l’emergere di nuovi elementi di considerevole valore investigativo e probatorio, relativi ai fenomeni estorsivi in danno di ditte che si erano aggiudicate gare d’appalto indette dal comune. I lavori commissionati dall’amministrazione locale spaziavano dalla posa delle tubazioni per la distribuzione del metano, alla costruzione del campo sportivo o della scuola media, agli interventi di consolidamento su di un costone roccioso, alle attività nel settore boschivo e forestale. Il metodo per indurre gli impresari a pagare era sempre lo stesso, quello di vincere la loro resistenza effettuando dei danneggiamenti ai mezzi d’opera ed alle strutture in fase di realizzazione, che aumentavano in maniera graduale sino a quando i responsabili, non riuscivano ad ottenere il pagamento della tangente. Le cifre richieste, nella maggior parte dei casi, erano molto consistenti, tanto da raggiungere cifre che oscillavano tra i 30 ed i 40 milioni di vecchie lire.
Gli elementi probatori raccolti hanno indotto la Procura della Repubblica di Reggio Calabria a contestare, per i reati illustrati nel paragrafo precedente, l’aggravante ad effetto speciale di cui all’art. 7 della Legge 203 del 1991, ritenendosi che i fatti siano stati commessi avvalendosi delle condizioni previste dall’art 416 bis del C.P., che descrive le caratteristiche e l’operatività delle associazioni per delinquere di tipo mafioso. Chi adotta i metodi mafiosi, infatti, come nell’indagine in esame, si avvale della forza intimidatrice del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento ed omertà che ne deriva, per commettere delitti, per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici.
Pertanto, con l’aggravante si intende che le persone indagate hanno commesso i delitti loro attribuiti esercitando una particolare coartazione psicologica non necessariamente su una o più persone determinate, ma all’occorrenza anche su un gruppo indeterminato di persone. La coartazione si realizza attraverso una condotta che è tale da evocare nelle vittime l’esistenza di consorterie e sodalizi in grado di esercitare ed amplificare la violenza a scopo intimidatorio e persuasivo.