Rinvii resi necessari dalle diverse posizioni di difesa degli indagati
SIENA. Chi sperava di vedere un passo verso la definizione delle responsabilità circa eventuali irregolarità nella elezione dell’attuale rettore dell’Università di Siena, Angelo Riccaboni, probabilmente è stato deluso.
Dopo una udienza a porte chiuse davanti al Gup (giudice dell’udienza preliminare) gli avvocati ed 10 indagati sono usciti dall’aula con in tasca un rinvio al 2013.
Due le date da segnare sul calendario: il 22 febbraio ed il 22 marzo.
La prima data servirà a quanti degli interessati vorrano procedere verso un dibattimento secondo la normale procedura dei gradi di giudizio. La seconda, invece, sarà dedicata a coloro che faranno richiesta di riti alternativi – come il rito abbreviato – per arrivare ad una rapida “uscita” dalla vicenda.
Soddisfazione è stata espressa da alcuni tra i legali dei 10 rappresentanti di seggio indagati. E’ stata infatti accolta dal giudice la richiesta di stralcio delle sommarie informazioni rese dagli indagati. Così come, soddisfazione è stata espressa per la scelta di una diversa data per procedere alla definizione delle posizioni e delle modalità di difesa dei 10 indagati. Tra coloro che si troveranno a dibattere la posizione del loro assistito il 22 marzo prossimo c’è l’avvocato Luigi De Mossi che sta valutando una linea difensiva orientata ad un rito abbreviato.
Una vicenda, quella dell’elezione del rettore, che risale al luglio 2010 quando l’attuale rettore Riccaboni fu messo a capo dell’Università di Siena con 373 voti, contro i 357 del rettore uscente Silvano Focardi (28 schede bianche e 19 nulle). Le polemiche salirono subito alle stelle tanto che l’allora ministro Gelmini aspettà fino al novembre dello stesso anno per ratificare la nomina del Magnifico. Ma il Miur, da quanto scritto all’epoca dei fatti, attende il responso della Magistratura: “Si tratta di una presa d’atto dovuta dei risultati delle elezioni, che ad oggi non risultano essere stati invalidati. Si attendono i risultati delle indagini in corso e con tale provvedimento, il Ministero ha doverosamente recepito i risultati elettorali comunicati dall’Università, come previsto dalla legge”.
Il reato contestato agli indagati è la violazione dell’ art. 479 per “falsità ideologica commessa da pubblico ufficiale in atti pubblici”, dal momento che “ricevendo o formando un atto nell’esercizio delle loro funzioni, avrebbero attestato falsamente un fatto da loro compiuto, o avvenuto alla loro presenza”. La pena prevista dal condice và da un massimo di sei ad un minimo di un anno di reclusione.