
SIENA. "Chiediamo al ministero il “congelamento” per 4-5 mesi di un milione di tonnellate di mais e 800mila tonnellate di grano duro. Un ammasso volontario per togliere dal mercato le eccedenze, l’eccesso di offerta, e far riprendere il mercato". E’ la proposta che Luciano Rossi, direttore di Toscana Cereali, ha avanzato stamani durante l’assemblea che si è tenuta al Palace Hotel Due Ponti di Siena, nella quale è stato fatto il punto della situazione del comparto. "Siamo pronti a iniziative incisive", ha detto il direttore dell’organizzazione alla quale aderiscono 3.650 soci, di cui 3.120 associate a 19 cooperative, ha espresso tutta la rabbia dei produttori toscani di cereali alle prese con difficoltà legate ai prezzi di mercato troppo bassi per coprire i costi di produzione.
"Si viene da una campagna di semine, quella 2008-2009, molto tribolata", continua Rossi. Per le avversità climatiche sono calati sia i terreni a seminativo, 92mila ettari a frumento duro (-40%) e 20mila a grano tenero (-20%), le rese che sono scese a 24 quintali a ettaro contro i 30-35 di media e la produzione calata del 25% per il duro e del 50% per il tenero. Alle difficoltà del campo si sono aggiunte quelle del mercato. "La scorsa campagna – spiega il direttore di Toscana Cereali – abbiamo avuto costi di produzione decisamente elevati dovuti al prezzo del gasolio, dei sementi e dei concimi. Per seminare un ettaro di terreno occorrevano 900 euro. Ai prezzi di mercato di oggi – il grano viene venduto adesso – si ha una rendita di 408 euro per ettaro. Questo vuol dire che si vende a rimessa, con un sotto costo di 500 euro per ettaro".
Una situazione difficile che deve lasciare spazio a nuove politiche. "Se fossimo in un altro settore, sarebbe una situazione da cassa integrazione. D’accordo che l’andamento climatico dipende da eventi atmosferici che non sono prevedibili, ma i prezzi hanno iniziato a calare dopo la raccolta. Un crollo dovuto al fatto che l’industria di trasformazione ha iniziato a importare grano dal fuori Europa, 15 milioni di quintali che hanno alzato la domanda e abbassato i prezzi. Per questo chiediamo alla Ue maggiore attenzione nelle importazioni, nel rilascio dei certificati di importazione e a non concentrarli tutti nei mesi di raccolta. E soprattutto chiediamo l’introduzione di dazi più pesanti verso i paesi extra Ue oltre a maggiori controlli a livello sanitario e igienico di quello che entra ai confini".
Per Toscana Cereali e per Luciano Rossi, se ne può uscire. "Occorrono misure per valorizzare il comparto. Dobbiamo arrivare a contratti di filiera dove si riconoscano almeno i costi di produzione. Inoltre servono azioni concrete. Con alcuni istituti di credito, per prima la Banca Monte dei Paschi di Siena, abbiamo stipulato una convenzione per dare al produttore un plafond che copra i costi di produzione. Al momento della raccolta, una volta consegnato il grano, Toscana Cereali pagherà il grano tolto quanto deve essere restituito alla banca. Insomma l’agricoltore produrrà e non tirerà fuori un centesimo".
Per uscire dalla crisi occorre anche agire sulle leve della filiera e della qualità: "Andrebbero predisposti bandi e contratti di filiera, insieme all’approvazione del piano cerealicolo nazionale, l’avvio delle procedure per il rilascio della Dop del pane toscano a lievitazione naturale e l’obbligo di riportare sull’etichetta della pasta la provenienza del grano duro. La Regione Toscana ha indetto un bando di filiera per intervenire sul processo produttivo per introdurre innovazione che porti a ridurre i costi di produzione, migliorare la qualità e innalzare le rese che sono le più basse dell’Ue. Inoltre deve essere valorizzato e promosso il marchio di qualità agroalimentare, la farfallina bianca di Agroqualità della Toscana.
Su cento consumatori, nessuno conosce la “farfallina, il marchio che identifica, certifica e promuove i prodotti agroalimentari realizzati con le tecniche dell'agricoltura integrata e le più sicure pratiche di conservazione e confezionamento. Se il marchio non è conosciuto, è inutile".
Tutto questo, però, non basta. Occorre dare alle produzioni agricole un valore aggiunto, andare oltre il prodotto tal quale. Per questo Toscana Cereali non vende solo grano, ma produce anche pasta. "Come Toscana Cereali portiamo avanti un progetto legato all’agricoltura sostenibile e multifunzionale. L’agricoltore non vende grano, ma pasta. Diamo un valore aggiunto. Così come cerchiamo di valorizzare tutto il processo produttivo con l’avvio di un progetto, con Sorgenia, per dare vita ad un impianto a biomasse per generare energia da pellets di paglia. Abbiamo messo in moto un meccanismo per rendere competitive le aziende che producono grano".
"Si viene da una campagna di semine, quella 2008-2009, molto tribolata", continua Rossi. Per le avversità climatiche sono calati sia i terreni a seminativo, 92mila ettari a frumento duro (-40%) e 20mila a grano tenero (-20%), le rese che sono scese a 24 quintali a ettaro contro i 30-35 di media e la produzione calata del 25% per il duro e del 50% per il tenero. Alle difficoltà del campo si sono aggiunte quelle del mercato. "La scorsa campagna – spiega il direttore di Toscana Cereali – abbiamo avuto costi di produzione decisamente elevati dovuti al prezzo del gasolio, dei sementi e dei concimi. Per seminare un ettaro di terreno occorrevano 900 euro. Ai prezzi di mercato di oggi – il grano viene venduto adesso – si ha una rendita di 408 euro per ettaro. Questo vuol dire che si vende a rimessa, con un sotto costo di 500 euro per ettaro".
Una situazione difficile che deve lasciare spazio a nuove politiche. "Se fossimo in un altro settore, sarebbe una situazione da cassa integrazione. D’accordo che l’andamento climatico dipende da eventi atmosferici che non sono prevedibili, ma i prezzi hanno iniziato a calare dopo la raccolta. Un crollo dovuto al fatto che l’industria di trasformazione ha iniziato a importare grano dal fuori Europa, 15 milioni di quintali che hanno alzato la domanda e abbassato i prezzi. Per questo chiediamo alla Ue maggiore attenzione nelle importazioni, nel rilascio dei certificati di importazione e a non concentrarli tutti nei mesi di raccolta. E soprattutto chiediamo l’introduzione di dazi più pesanti verso i paesi extra Ue oltre a maggiori controlli a livello sanitario e igienico di quello che entra ai confini".
Per Toscana Cereali e per Luciano Rossi, se ne può uscire. "Occorrono misure per valorizzare il comparto. Dobbiamo arrivare a contratti di filiera dove si riconoscano almeno i costi di produzione. Inoltre servono azioni concrete. Con alcuni istituti di credito, per prima la Banca Monte dei Paschi di Siena, abbiamo stipulato una convenzione per dare al produttore un plafond che copra i costi di produzione. Al momento della raccolta, una volta consegnato il grano, Toscana Cereali pagherà il grano tolto quanto deve essere restituito alla banca. Insomma l’agricoltore produrrà e non tirerà fuori un centesimo".
Per uscire dalla crisi occorre anche agire sulle leve della filiera e della qualità: "Andrebbero predisposti bandi e contratti di filiera, insieme all’approvazione del piano cerealicolo nazionale, l’avvio delle procedure per il rilascio della Dop del pane toscano a lievitazione naturale e l’obbligo di riportare sull’etichetta della pasta la provenienza del grano duro. La Regione Toscana ha indetto un bando di filiera per intervenire sul processo produttivo per introdurre innovazione che porti a ridurre i costi di produzione, migliorare la qualità e innalzare le rese che sono le più basse dell’Ue. Inoltre deve essere valorizzato e promosso il marchio di qualità agroalimentare, la farfallina bianca di Agroqualità della Toscana.
Su cento consumatori, nessuno conosce la “farfallina, il marchio che identifica, certifica e promuove i prodotti agroalimentari realizzati con le tecniche dell'agricoltura integrata e le più sicure pratiche di conservazione e confezionamento. Se il marchio non è conosciuto, è inutile".
Tutto questo, però, non basta. Occorre dare alle produzioni agricole un valore aggiunto, andare oltre il prodotto tal quale. Per questo Toscana Cereali non vende solo grano, ma produce anche pasta. "Come Toscana Cereali portiamo avanti un progetto legato all’agricoltura sostenibile e multifunzionale. L’agricoltore non vende grano, ma pasta. Diamo un valore aggiunto. Così come cerchiamo di valorizzare tutto il processo produttivo con l’avvio di un progetto, con Sorgenia, per dare vita ad un impianto a biomasse per generare energia da pellets di paglia. Abbiamo messo in moto un meccanismo per rendere competitive le aziende che producono grano".