Valentini: "uscita dalla Fondazione non esclusa, ma resti una partecipazione"
di Max Brod
SIENA. Il dibattito “Banca e Fondazione Mps, cosa cambia per il nostro territorio” organizzato da Siena Cambia, e svoltosi ieri sera presso la Saletta Mutilati, ha preso il via con l’intervento del prof. Roberto Renò (Dip. Economia e Statistica dell’Università di Siena), che ha esordito tratteggiando gli attuali punti deboli della banca: l’investimento sbagliato di Antonveneta, ma anche l’“effetto sistemico” per colpa del quale tutte le banche sono in difficoltà. Secondo il professore infatti, una volta fatto l’aumento di capitale e messi a posto i Monti Bond, il problema che la banca dovrà superare sarà l’economia in senso esteso, che dovrà ripartire. L’errore della fondazione, invece, è stato non diversificarei suoi investimenti: “Se nel 2007 la fondazione avesse investito 50% in Mps e 50% in altro, adesso se lo comprerebbe lei, il 48% della banca”.
“Il mangement adesso venderà il 48% delle azioni, per 2.5 mld, e l’azionista di maggioranza (la fondazione) con l’entrata di nuovi capitali scenderà al 17%, che diventerà 10% dopo aver pagato i debiti”. A questo punto, sempre secondo Renò, ci sono due possibilità: “Tenere tutta la quota in Mps, aspettando che ritorni tra le prime banche d’Italia, o venderne la metà: e con il 3/4 % di una Banca come Mps, si può incidere”. In merito alla banca infine, e a chi comprerà questo 48%, il professore vede tre scenari possibili: un socio italiano, lo scenario più probabile secondo lui, anche perché Bankitalia da anni cerca di prendere tutte le casse popolari ed unirle, al fine di avere in tutto due o tre grandi banche; un socio straniero, che a differenza di una banca italiana, non vedrebbe cadere la scure dell’antitrust, che tagliarebbe gli sportelli; una pluralità di azionisti: in questo caso il 48% si spezzetterebbe e la fondazione potrebbe rimanere protagonista. In ogni caso, per Renò, la scomparsa della fondazione da Mps resterebbe un “danno grave”.
Dopo l’intervento di Alessandro Bruni, coordinatore regionale di “libertà e giustizia”, che ha affrontato il tema dal punto di vista etico e politico, affermando che la priorità è “evitare che certi errori si ripetano” grazie al senso di responsabilità di ognuno di noi – un sentimento richiamato anche nella Costituzione – è il consigliere Pasqualino Cappelli (Siena Cambia), a dire la sua: “La banca nel rispetto della missione storica dovrà tornare a produrre reddito. Dovrà tornare ad essere fonte di occupazione. Faro per il territorio. Molto dipenderà dagli avvenimenti dei prossimi giorni, ma la fondazione è alle prese con scelte coraggiose, e dovrà essere lungimirante nell’individuare la strada migliore per proteggere il patrimonio residuo e produrre valore per questa comunità”.
Non sono mancati gli interventi dal pubblico, come quello del sindaco Valentini, che ieri era a Roma con Bezzini per parlare con alcuni membri del Governo, ai quali ha chiesto se ci fossero margini di rinegoziazione del debito nazionale, ricevendo un severo “no”. “Molti non hanno ancora capito – spiega Valentini – che la fondazione non risponde più né alla popolazione né alla politica, la deputazione amministratrice è diventata rappresentante di una “public company” senza azionisti, dove i manager non hanno vincolo di mandato”. Sulle prossime mosse che, secondo lui, dovrebbe compiere Palazzo Sansedoni, il sindaco non mostra ancora una linea consolidata: “Il punto chiave è se vendere a pezzi o per grandi quantità; quanto mantenere dentro il Cda; stabilire di quanti soldi ha bisogno la fondazione. Vi dico che mentre la banca può salvarsi indipendentemente dalla fondazione,mentre la fondazione non può salvarsi se non si salva la banca”. A margine dell’evento poi, dichiarerà non impossibile l’eventualità che la fondazione esca totalmente dalla banca, ammettendo però che bisognerà “valutare tutte le opzioni”, anche se il suo desiderio è che “rimanga una partecipazione azionaria”.
Dal pubblico è intervenuto anche Aldo Berlinguer: “Non si è detto questo sul passato: la fondazione e la banca sono state vittime di un malinteso rapporto con la politica: si è preferito fare consenso rispetto a fare sviluppo”. Poi ha parlato Finucci, recentemente intervistato dal Cittadino: “Probabilmente il problema della fondazione si risolve nei prossimi tre o quatto mesi. Ho seguito il recente dibattito, leggendo un articolo del Presidente del Consiglio Regionale che sostiene che la fondazione deve restare azionista di riferimento: sarei il primo a sostenere ciò, ma dovrebbero dirmi con quali soldi e quali mezzi”. Poi aggiunge: “Se per motivi di attaccamento vogliamo mantenere un 2% nella Banca va bene, ma sono comunque soldi buttati. Bisogna vedere tutto senza problemi, realizzando un gruzzoletto di 6/700 mln”.
Gianni Pittella, primo vicepresidente del Parlamento Europeo ora in corsa per la segreteria nazionale del PD, ha concluso l’evento con una visione europea della quetione Mps: “Nel 2008 quando inizia crisi si appalesa da subito che il modello di banca che regge di più è il modello della “banca del territorio”. Qui invece è avvenuto il contrario”. Per Pittella gli obiettivi da raggiungere per la banca sono due, il primo è “negoziare una più ampia flessibilità in termini di tempo con la Comunità Europea, perché ci sono trattamenti diversi per altri salvataggi bancari e non capisco perché mps deve essere sottoposto ad una condizione asfissiante”; il secondo: “Sollecitare la partecipazione alla ricapitalizzazione di soggetti imprenditoriali del territorio, o che conoscono il territorio. Io starei attento alla salvezza della senesità – aggiunge Pittella – dovreste stare attenti a non spingere in altre mani questa perla”.
