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Direttore responsabile Raffaella Zelia Ruscitto
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Monica Bocchia: “Nessun paziente è stato lasciato solo”

Il direttore dell'UOC Ematologia delle Scotte di Siena racconta cosa è cambiato durante e dopo l'emergenza Covid-19. L'impegno e la dedizione al paziente hanno permesso di superare ogni criticità

Monica Bocchia

di Raffaella Zelia Ruscitto

SIENA. L’emergenza Covid-19, che ha tenuto in casa gli italiani per due mesi, ha fatto riflettere a lungo sull’importanza fondamentale della sanità nella nostra società. Il sacrificio e l’abnegazione di medici e infermieri italiani, impegnati nel salvare le vite nei reparti di terapia intensiva, i loro volti segnati dalla stanchezza e dalle mascherine hanno fatto letteralmente il giro del mondo ed hanno suscitato un senso di profonda riconoscenza nell’opinione pubblica, misto alla consapevolezza che da troppi anni la sanità pubblica veniva trascurata, defraudata di fondi e lasciata alla buona volontà di tanti bravi professionisti. Non solo di quelli coinvolti in prima battuta dallo tsunami del Coronavirus.

A raccontarci l’emergenza “indiretta” causata dalla pandemia è la professoressa Monica Bocchia, direttore dell’UOC Ematologia delle Scotte di Siena.

“Come reparto abbiamo immediatamente affrontato la criticità della pandemia adottando fin dal 1° marzo l’uso delle protezioni individuali, non solo dove è consuetudine indossarle ma in tutti gli spazi del reparto educando il personale ad un uso delle mascherine esteso anche fuori dall’ospedale e fino a casa, coinvolgendo in questa forma di prevenzione anche parenti ed amici. Non c’erano le mascherine? Ci siamo ingegnati ed abbiamo insegnato al nostro personale ed anche a tanti pazienti come farsele utilizzando stoffa e cartaforno”.

Come è cambiata l’organizzazione del reparto durante il lookdown?

“Il reparto è andato avanti normalmente dal momento che agiamo sempre su ultra urgenze che non possono in alcun modo essere rinviate o trascurate. Abbiamo ovviamente anche dovuto rispettare la direttiva regionale che invitava ad un “filtraggio delle visite” e quindi abbiamo fatto visite in loco solo ai pazienti per cui si rendeva necessaria questa procedura. Ovviamente abbiamo dovuto fare un grande lavoro sulle nostre agende: abbiamo chiamato ogni paziente, rassicurato sul fatto che le visite, se necessarie si sarebbero fatte, istruito su come farle. Alcuni sono stati anche convinti a venire, cercando di far superare la difficoltà emotiva di entrare in un ospedale in periodo di grosso rischio sanitario percepito. A coloro ai quali poteva essere risparmiato di venire in ospedale ma bastava un controllo delle analisi del sangue – aspetto fondamentale in ambito ematologico – ci siamo fatti inviare tutte le analisi, le abbiamo inserite in cartella clinica e inviato una lettera fissando un nuovo appuntamento. Non abbiamo dunque accumulato una lista di attesa ma tutto è proseguito regolarmente con un nuovo calendario scadenzato, senza rinvii. Questo per i pazienti a noi conosciuti, che sono la maggioranza. C’era il problema delle “Prime visite”, ovvero di coloro che vengono segnalati dai medici di base i quali, personalmente, fanno richiesta di visita specialistica attraverso il Cup. Noi abbiamo una via preferenziale per le urgenze, avviata con i medici di base e ben collaudata da quasi tre anni che è proseguita anche in questa fase di emergenza sanitaria. Tutti questi pazienti sono stati intercettati e seguiti.

Il problema si poneva per i pazienti non conosciuti che avevano fatto richiesta di prima visita senza passare per le vie di “urgenza” consolidate con i medici di base. Anche in questo caso siamo riusciti, tramite contatti telefonici, a farci spiegare dai pazienti le ragioni della richiesta, il loro stato di salute, e tutte le informazioni necessarie per comprendere se era il caso di far venire subito il paziente o se la situazione poteva essere considerata non urgente. Insomma: abbiamo fatto in modo che nessuno fosse lasciato indietro anche in una situazione straordinaria”.

Avete avuto contatti diretti con l’emergenza Covid-19?

“Per fortuna abbiamo avuto pochissimi casi che sono stati individuati grazie ad una metodica “perfezionata” ad hoc. Infatti, i pazienti che dovevano venire a fare una visita, venivano contattati il giorno prima per informarli sull’orario di arrivo, al fine di evitare assembramenti, ma anche per verificare il loro stato di salute. Insomma si faceva un triage telefonico! Nei pazienti con sintomi sospetti abbiamo avviato un percorso Covid-19 gestito da noi quindi diretto e molto rapido al fine di ottenere un tampone, l’esito e, nel caso di negatività, la somministrazione della terapia già fissata.

Tutto questo è stato fatto attraverso il lavoro collettivo di medici e infermieri ma soprattutto, per quanto riguarda il rapporto con i pazienti, attraverso la nostra segretaria, il cui contratto è finanziato da Sienail. Quindi possiamo dire che anche in questa occasione Sienail è stata molto, molto vicina ai pazienti”.

Anche l’AOUS ha attivato dei nuovi servizi per seguire i pazienti senza sottoporli a visita in loco, giusto?

“Si, la direzione ha messo in campo la televisita. Noi in pratica avevamo già realizzato questo genere di percorso ma adesso possiamo dire che è possibile attuarlo in maniera più strutturata. Certamente non può sostituire la visita in presenza in quanto l’ematologo ha bisogno di vedere il paziente, di toccarlo, di guardarlo… ma abbiamo una tipologia di pazienti, diversi in verità, che purtroppo sono costretti a fare degli esami del sangue anche nella fase intermedia tra le varie visite. Potremo non farli venire tutte le volte ma potremo farci inviare le analisi e contattare i pazienti per definire insieme la prosecuzione della terapia. Tutto questo, che veniva fatto anche in passato, non sarà più un lavoro sotto traccia, di cui aveva contezza solo il paziente, ma sarà ben definito e stabilito. Un grande passo avanti”.

Quali sono state le altre conseguenze del periodo di emergenza sanitaria che hanno pesato sul lavoro dell’UOC Ematologia delle Scotte?

“Essendo stato chiuso il reparto di Ematologia di Arezzo perché accorpato nell’area Covid, ed i professionisti essendosi “ristretti” al solo Day Hospital, noi da Siena abbiamo gestito anche i ricoveri e le urgenze da Arezzo. Questo ha comportato che in pratica quasi tutti i fine settimana del look down il laboratorio ha lavorato per far fronte a nuove diagnosi urgenti di leucemie acute. Ecco un altro aspetto legato al Covid-19 che abbiamo riscontrato. Statisticamente, tutte le persone che sono arrivate in Ematologia, nuovi pazienti con un sospetto diagnostico, sono arrivate con “più malattia addosso” perché nei loro luoghi di residenza hanno avuto paura di andare in ospedale o magari chiamare il medico, fare le analisi. Ogni sintomo, praticamente, è stato schiacciato dalla paura della pandemia. E questo ha comportato una “trascuratezza” che a volte è stata deleteria, devastante per l’organismo. Questo ha spinto molti malati a ricorrere al pronto soccorso molto in ritardo e in emergenza. Per questo sento il bisogno di esprimere il mio “grazie” anche a tutti i tecnici di laboratorio e biologi che si sono impegnati, senza mancare mai agli impegni che si sono susseguiti. Abbiamo cercato di alternare il lavoro, chi la mattina e chi il pomeriggio. Abbiamo evitato più possibile gli assembramenti anche se gli spazi del laboratorio sono davvero esigui ed impediscono purtroppo grandi possibilità di libero movimento ma la rapidità degli esiti delle analisi non ha subito alcuna flessione”.

Nella “fase 2” come intendete operare?

“Abbiamo bisogno di rivedere tutti i nostri pazienti e loro hanno bisogno di rivedere noi. Abbiamo proposto una modalità di accesso alla direzione delle Scotte, e l’azienda ospedaliera ci è venuta incontro. Stiamo mettendo a punto una modalità che potrà garantire la sicurezza e per questo abbiamo pensato di estendere le “prime visite” anche al sabato mattina. Lo faremo entro la fine del mese di giugno. Per fortuna il lookdown è arrivato quando avevamo già messo in uso il nuovo Day Hospital ematologico, ottenuto e realizzato anche grazie al grande impegno finanziario e non solo di Sienail. Grazie a questi nuovi spazi abbiamo potuto garantire il distanziamento tra i pazienti e non abbiamo dovuto sospendere l’attività. Cosa che sarebbe necessariamente accaduta se avessimo avuto a disposizione i vecchi spazi. In questa fase, che richiede attenzione, sanificazione degli spazi e distanziamento, abbiamo deciso di agganciare agli orari di visita precisi una specifica sala d’attesa. Due persone per ogni sala d’attesa in quell’orario. Non ci sarà nessun assembramento e ogni paziente avrà a disposizione un suo spazio. Adesso però, per non disperdere questo grande vantaggio, abbiamo bisogno che vengano completati i lavori di ampliamento Day Hospital, altrimenti si resta in una situazione di compressione del lavoro rispetto a come lo si è pensato e organizzato. Mi auguro che anche gli spazi dedicati al laboratorio vengano presto ampliati. Questo per garantire sicurezza anche al personale che opera in quell’ambito e che merita la stessa attenzione rivolta al paziente”.

La vicenda Covid-19 ha aiutato il Servizio Sanitario a recuperare tutte quelle “mancanze” che fino ad oggi aveva accumulato?

“Secondo me ha fatto aprire gli occhi su tutta una serie di esigenze che non erano state ritenute esigenze. Ha tracciato una strada su come riorganizzarci e ci ha fatto comprendere che possiamo organizzarci meglio, e soprattutto che tutto deve essere strutturato di concerto con i professionisti che operano in quel determinato settore.

Visite: non è uguale per tutti; terapie: non è uguale per tutti. Bisogna sforzarsi di realizzare un ospedale dinamico e modulato in base alle esigenze dei vari reparti, con un’armonia che deve seguire il percorso e l’esigenza del malato e non quello dell’ospedale perché ogni malato ha un suo percorso di cura ben specifico che deve essere rispettato e reso perfettamente fruibile”.

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