Inquinamento ambientale: le ripercussioni su fertilità, gravidanza e sviluppo infantile

SIENA. L’inquinamento ambientale può avere ripercussioni negative sulla fertilità umana e animale, e le sostanze nocive che ne sono responsabili – dette “interferenti endocrini” perché interferiscono sugli equilibri degli ormoni sessuali – non solo ci “contaminano” quotidianamente attraverso l’alimentazione o il contatto con tessuti, oggetti, plastiche e detergenti, ma sono anche in grado di superare la barriera, un tempo ritenuta invalicabile, della placenta, tanto che otto bambini su dieci nascono già “contaminati”.
Lo rivelano i primi dati del progetto “PREVIENI” (www.iss.it/prvn) al quale ha partecipato con un ruolo rilevante anche l’Università di Siena. “PREVIENI” è uno studio sul rapporto tra gli interferenti endocrini, la salute e l’ambiente, condotto dal WWF insieme all’Istituto Superiore Sanità, l’Università La Sapienza di Roma e l’Ateneo senese, promosso e finanziato dal ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare.
I dati preliminari delle analisi, effettuate da alcuni ricercatori del dipartimento di Scienze Ambientali dell’Ateneo Senese, coordinati dal professor Silvano Focardi, mostrano che nel 100% dei casi, da una madre contaminata nasce un bambino contaminato: su dieci coppie mamma-bambino, otto presentano tracce di interferenti endocrini, nello specifico “ftalati”.
Le cose cambiano se dagli ambienti urbani passiamo a un ambiente tutelato come quello delle due Oasi WWF abruzzesi coinvolte nello studio, Sorgenti del Pescara e Diga di Alanno. Dai dati presentati da Cristiana Guerranti dell’Università di Siena risulta che in entrambe le aree i contaminanti oggetto dello studio sono stati riscontrati in livelli bassi, e che non causano impatto sul sistema riproduttivo delle specie analizzate: il lombrico, i pesci barbo e trota, e l’uccello acquatico folaga. Ma anche all’interno delle Oasi le aree a valle degli insediamenti industriali e di discariche, ovvero la confluenza del fiume Aterno e la Diga di Alanno, risultano meno “pulite”: una conferma, fornita da questo bimonitoraggio, della presenza nell’ambiente studiato di molti contaminanti chimici.
“Questa parte del progetto PREVIENI – ha dichiarato Cristiana Guerranti – ha portato, oltre alla produzione di importanti dati, a focalizzare l’attenzione della comunità scientifica sulle criticità ambientali dell’area della Diga di Alanno”.
“Il monitoraggio ambientale dei livelli di contaminanti – spiega Guido Perra, altro membro dell’unità operativa senese del progetto PREVIENI – è uno strumento essenziale della gestione di un’area protetta, perché consente l’individuazione di problematiche ambientali anche non evidenti o impensabili in aree tutelate, come dimostrato dai numerosi studi condotti dal nostro gruppo di ricerca”.
Il progetto “PREVIENI” ha analizzato per il momento un campione di 50 coppie affette da infertilità, 10 coppie mamme-bambino provenienti dall’area urbana di Roma e, come abbiamo detto, diverse specie animali che abitano nelle due Oasi WWF in Abruzzo.
Lo studio conferma che gli individui che vengono esposti maggiormente ad interferenti endocrini hanno un maggior rischio di infertilità e patologie correlate. Ma nonostante le limitazioni di legge, ottenute grazie anche alla spinta congiunta del mondo scientifico e del mondo ambientalista, interferenti endocrini ancora si trovano in oggetti di uso comune come tappeti, vestiti, pentole antiaderenti e vernici, giocattoli, contenitori e dispositivi medici, tessuti, auto, pc e televisori, pesticidi, oli e prodotti industriali. Inoltre loro tracce vengono riscontrate anche negli alimenti, dove arrivano sia per contatto diretto, per esempio con i contenitori di plastica, sia per l’inquinamento degli ambienti in cui vengono allevati gli animali e coltivate le piante.