Cancellato dall'organigramma della Fondazione

di Red
SIENA. L’ineluttabilità e la necessità impellente di un nuovo statuto, commissionato al solito avvocato sodale negli ultimi venti anni della Fondazione MPS, è l’ultimo fallimento della gestione Mancini. Era stato detto a questa grande figura politica del territorio senese di soprassedere, che non aveva né la competenza né l’autorevolezza e neppure la stima dei cittadini senesi per arrampicarsi in questo lavoro che richiedeva responsabilità, infischiandosene bellamente perché – come i magistrati hanno appurato senza ombra di dubbio – per incapacità non si va in galera.
L’assunto era di cacciare fuori la politica dalla Fondazione, la realizzazione è una stretta di potere tanto grande da richiedere un balletto indecoroso per arrivare alla nomina della signora Mansi, che è, per ovvia natura, una figura politica di discreto spessore quindi destinata ad eseguire solo le volontà decise, more solito, altrove. Ora la signora deve studiare, verificare, valutare e con lei una Deputazione che già nelle poche parole di Antonio Paolucci nel caos presidenziale, ci sembra una sconfitta per Siena, ancora una volta.
Non aspettatiamoci una richiesta di perdono per aver depauperato la Fondazione MPS di undici miliardi di valore patrimoniale; nemmeno le scuse per averla lasciata con 350 milioni di debiti dopo aver svenduto tutto il patrimonio alternativo alle azioni della banca Monte dei Paschi. Sicuro però di andarsene dopo aver avuto il tempo di sistemare le tante carte sul tavolo, grazie agli amici che lo hanno lasciato in sella, per senso di responsabilità. Trovarle sarà un problema, ammesso che esistano ancora e chissà se la signora Mansi ce le lascerà leggere per capire almeno, ad esempio, se i numeri per firmare le cambiali ai creditori li avesse o meno. O si continuerà nell’omertà assoluta di questi anni di effimero splendore.
Sarà ricordato per quello che non ha fatto, certamente. Quando qualcuno diceva pubblicamente “perché pagare 10 miliardi una banca appena venduta a 6,6”, non ha chiesto pubblica spiegazione a Mussari, ma si è allineato; quando aveva fatto presente in privato ai suoi referenti politici, secondo lui, quale fosse nel 2011 la situazione finanziaria della Fondazione, non si è rifiutato di obbedire all’ordine della ricapitalizzazione disperata di Vigni, ma si è prodigato in pubblico ad appoggiare un Mussari e un CdA alla canna del gas. E lui occupava quella poltrona proprio per dire di NO a ogni tentativo di svendere la banca.
La signora Mansi si rassicuri. Lo spauracchio della nazionalizzazione serve a tenere buoni e sottocontrollo i cittadini senesi, non si farà perché nel caso a soffrirne sarebbero lei, la Deputazione, Profumo e il CdA, che si ritroverebbero a spasso. Per Siena non cambierebbe proprio nulla. Anzi sì: liberata senza colpo ferire della casta, come non avviene da ormai troppo tempo. Potrebbe arrivare qualcuno che facesse banca per davvero, come un Bondi alla Parmalat. Uno spauracchio per una dirigenza che ha visto sparire figure di ottimi manager e rimanere solo gli allineati alla sinistra profumiana. Che si intrecciano con i pochi ma sufficienti voti che hanno fatto di Valentini il sindaco della città: tutti quelli che sperano, o che gli hanno promesso che rimanendo fedeli alla linea si salveranno dalla distruzione, per lasciare il conto da pagare a chi non sta con loro.