
di Giovanni Elia
SIENA. Quest'oggi (3 Marzo), il Centro di interscambio universitario Siena-Toronto ha ospitato due finissime menti della giurisprudenza internazionale per un dibattito sui temi del terrorismo e della legalità. Dopo l'introduzione ed i saluti del prorettore Giovanni Minnucci e dell'assessore alla Cultura Marcello Flores, infatti, il pubblico ha potuto godere del parere e dell'esperienza di Giuliano Amato, costituzionalista di rango, e dell'ex giudice della Corte Suprema canadese Frank Iacobucci. Dal 2001 ad oggi, ha esordito l'italo-canadese di Vancouver, l'emergere del terrorismo internazionale di matrice islamica ha infatti messo a dura prova il sistema delel garanzie personali che le democrazie garantiscono sia ai propri cittadini che a tutti gli esseri umani in generale; per questo motivo in certi casi sono state prese delle vere e proprie scorciatoie per forzare, se non in certi casi saltare a piè pari, quisquilie come il giusto processo e l'habeas corpus.
Non che la minaccia non sia chiara, presente e letale, ha poi sottolineato il Giudice Iacobucci, ma dopotutto “ogni libertà che viene tolta ad un individuo è per sempre, perché non c'è modo di ridargliela né in cielo né in terra”. Quindi, per bilanciare efficacemente le scelte politiche di condotta sulla scena internazionale – perfettamente legittime e giustificate dal consenso popolare – è necessario garantire che anche gli altri poteri, cioè quello legislativo e quello giudiziario, possano godere dello stesso primato nelle loro sfere di influenza. Il che, ovviamente, implica anche la possibilità di scontri tra questi poteri: ma bisogna sempre tenere a mente che la democrazia si evolve tramite queste interazioni, non importa quanto vivaci possano essere. Dello stesso parere si è definito anche Amato, sottolineando che anche l'estrema ratio del segreto di Stato non può molto contro la pubblica opinione, ed i suoi riflessi nelle urne; nonostante tutto, ha ammesso in conclusione, “trent'anni fa mi ero convinto che nessuno potesse essere condannato sulla base della probabile esecuzione di un reato. Oggi, a malincuore, devo ammettere che il rischio della perdita di vite umane a centinaia mi ha fatto cambiare idea su questo”.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
SIENA. Quest'oggi (3 Marzo), il Centro di interscambio universitario Siena-Toronto ha ospitato due finissime menti della giurisprudenza internazionale per un dibattito sui temi del terrorismo e della legalità. Dopo l'introduzione ed i saluti del prorettore Giovanni Minnucci e dell'assessore alla Cultura Marcello Flores, infatti, il pubblico ha potuto godere del parere e dell'esperienza di Giuliano Amato, costituzionalista di rango, e dell'ex giudice della Corte Suprema canadese Frank Iacobucci. Dal 2001 ad oggi, ha esordito l'italo-canadese di Vancouver, l'emergere del terrorismo internazionale di matrice islamica ha infatti messo a dura prova il sistema delel garanzie personali che le democrazie garantiscono sia ai propri cittadini che a tutti gli esseri umani in generale; per questo motivo in certi casi sono state prese delle vere e proprie scorciatoie per forzare, se non in certi casi saltare a piè pari, quisquilie come il giusto processo e l'habeas corpus.
Non che la minaccia non sia chiara, presente e letale, ha poi sottolineato il Giudice Iacobucci, ma dopotutto “ogni libertà che viene tolta ad un individuo è per sempre, perché non c'è modo di ridargliela né in cielo né in terra”. Quindi, per bilanciare efficacemente le scelte politiche di condotta sulla scena internazionale – perfettamente legittime e giustificate dal consenso popolare – è necessario garantire che anche gli altri poteri, cioè quello legislativo e quello giudiziario, possano godere dello stesso primato nelle loro sfere di influenza. Il che, ovviamente, implica anche la possibilità di scontri tra questi poteri: ma bisogna sempre tenere a mente che la democrazia si evolve tramite queste interazioni, non importa quanto vivaci possano essere. Dello stesso parere si è definito anche Amato, sottolineando che anche l'estrema ratio del segreto di Stato non può molto contro la pubblica opinione, ed i suoi riflessi nelle urne; nonostante tutto, ha ammesso in conclusione, “trent'anni fa mi ero convinto che nessuno potesse essere condannato sulla base della probabile esecuzione di un reato. Oggi, a malincuore, devo ammettere che il rischio della perdita di vite umane a centinaia mi ha fatto cambiare idea su questo”.
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