L'ex DG della banca ritaglia per se stesso un ruolo defilato nelle vicende del dissesto

di Red
SIENA. “Tutte le operazioni di cui si parla ora (Santorini, Alexandria, ecc. ndr) erano già tutte lì dalla gestione precedente, noi le abbiamo gestite e ristrutturate. Anche le altre banche hanno cose simili …” chi parla è l’ex Direttore generale di banca MPS Antonio Vigni intervistato dal Corriere della Sera. Cade un po’ dalle nuvole, il castelnuovino entrato al Monte nel 1972, quando alla domanda se si scoprisse che qualcuno ha rubato risponde: “Non ci credo. Forse può esserci qualcuno, ma non lo so …” Comunque almeno lui, fino ad oggi, se l’è cavata meglio di tutti. E’ uscito a fine 2011 con 5,8 milioni di euro in tasca regolari (tra retribuzione, bonus e trattamento fine rapporto) nel quasi più completo silenzio mediatico e si sente totalmente tranquillo: “Io non mi sono arricchito né sono scappato, ho lavorato 40 anni. Sono figlio di contadini. Certo ho una bella casa ma tutto qui, non sono né alle Bahamas, né da altre parti”.
Antonio Vigni svolge tutta la sua vita lavorativa nell’istituto senese. Già vi lavora quando si laurea, sale i gradini della carriera a stretto contatto col provveditore Carlo Zini negli anni Ottanta, vicedirettore generale nel 2000, poi sotto l’ombra di De Bustis fino a quando viene chiamato a prendere il posto di Emilio Tonini nel maggio 2006. Personaggio perfetto: preparato, allineato, senese. E accanto al presidente Mussari segue tutte le fasi dell’acquisizione Antonveneta senza alcun dubbio: “ai suoi amici ripete di aver sempre voluto fare il bene del Monte e di aver sempre fatto tutto in buona fede” scrive Fabrizio Massaro. Nemmeno l’ombra di una autocritica nel momento in cui la Banca d’Italia dà il via libera all’emissione di 3,9 miliardi di Monti bond per coprire le miliardarie perdite provocate dal duo. Che tra l’altro servono a rimborsare 1,9 miliardi di altre sovvenzioni statali che lo stesso Vigni aveva ottenuto dal ministro dell’Economia Giulio Tremonti, che in questi giorni parla sui giornali come uno che non sapeva cosa succedesse a Siena. Il capo della divisione finanziaria del Monte dei Paschi. Gianluca Baldassarri, potrà dire di aver ubbidito agli ordini superiori, ma l’alter ego del presidente potrà fare lo stesso? E quando si erano materializzate le perdite sui derivati di De Bustis, come spiega Vigni, perché fu scelta la consegna del silenzio piuttosto che mettere in piazza e nel bilancio della banca le spericolate avventure finanziarie?
Si sarebbe capito che i 790 milioni di utile netto di Tonini nel 2005 erano una bufala, un ricavato contabile frutto di perdite sottaciute e rinviate nel tempo. Si sarebbe dimostrato quello che tutti a Siena sapevano e temevano cioè la corruzione gestionale della prudente tradizione di babbo Monte fatta dagli ex dirigenti Banca del Salento che tanta influenza hanno avuto in quegli anni. Si sarebbe aperto un lungo periodo di riflessione, e le resistenze del sindaco Cenni, vincenti nello stoppare la richiesta del partito del matrimonio con BNL si sarebbero confermate all’atto di procedere verso Padova, pur nel quadro di un mutato equilibrio politico all’interno della Quercia che stava per confluire nel PD (14 ottobre 2007). Infatti lo stesso Cenni si premurò di dichiarare l’8 novembre 2007: “Si tratta di una grandissima operazione che fa crescere la banca. Un’ operazione fatta senza rumors e senza clamore, nello stile di Montepaschi. Faccio i complimenti a tutto il management”. Antonio Vigni , che ha lavorato in un periodo di grandi sconvolgimenti sia politici che finanziari, si sta probabilmente ritagliando la parte del vaso di cristallo in mezzo ai vasi di coccio, ma quando dichiara “Ho passato la nostra finanza al setaccio già nel 2010” pecca di una ingenuità che non gli possiamo riconoscere: la rinegoziazione dei derivati fatti da altri era tutta farina del suo sacco.
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