Nuovi scenari nelle indagini sull'acquisto di Antonveneta

di Red
SIENA. Tra non molto si potrebbero vedere sfilare nel palazzo del Tribunale di Siena, in qualità di persone informate dei fatti, il ministro dell’Economia Grilli e il presidente della Bce Draghi. Le indiscrezioni diffuse da Radiocor sul numero dell’Espresso in uscita venerdì mattina non parlano di loro, ma parlano chiaro. I due illustri italiani, infatti, occupavano le stanze del potere bancario italiano all’epoca in cui MPS acquistò Antonveneta da Banco Santander ed erano in grado di sapere se l’istituto senese sarebbe stato in grado di finanziare l’operazione e rispettare nel contempo i limiti di legge sugli obblighi patrimoniali che sono richiesti alle banche.
“Quando nel corso del 2008 acquistò banca Antonveneta, MPS versò al venditore Banco Santander una cifra di gran lunga superiore ai 9,23 miliardi del prezzo annunciato. Da Siena partirono in direzione di varie entità del gruppo spagnolo otto pagamenti per una cifra superiore complessivamente a 17 miliardi di euro. Su questi bonifici, che servirono in gran parte per rimborsare i prestiti che l’ex proprietario di Antonveneta (l’Abn Amro, a sua volta acquistata dal Santander) aveva concesso alla banca padovana per garantire la liquidità necessaria ad operare, hanno acceso i riflettori i Pm di Siena che stanno indagando sull’operazione. L’ipotesi di lavoro che i magistrati stanno cercando di verificare” prosegue l’articolo di Radiocor “è che il reale impegno finanziario sostenuto dal Monte per portare a termine l’acquisizione sia stato superiore a quanto i bilanci dell’istituto senese avrebbero in realtà consentito, visto gli obblighi patrimoniali che ogni banca è tenuta a rispettare”. Quello che, col senno di poi, avevano capito i mercati e i pochi contestatori dell’epoca, bastonando da subito il titolo, e che il degrado fallimentare subito da Rocca Salimbeni – in appena tre anni – ha concretamente dimostrato. “Dopo il blitz per la conquista di Antonveneta, portato a termine in soli 15 giorni, si legge in un comunicato del settimanale, il Monte dei Paschi di Siena si è trovato a richiedere più volte il sostegno dei suoi azionisti, a indebitarsi con il sistema bancario, e a cedere diverse attività per fare cassa”, chiosa l’articolo. Ogni buon analista sa bene che la chiusura del bilancio 2010 di MPS, come si è evidenziato nel marzo 2011, portava come dividendi per la Fondazione la somma di 100 milioni e 873mila euro. Nonostante questi incassi, il bilancio, in Banchi di Sotto, fu chiuso a giugno 2011 con un disavanzo di 128,4 milioni di euro. C’è la newsletter sul sito che lo conferma. Dopo appena un mese fu sottoscritto un aumento di capitale che impegnò Mancini e Pieri per la somma di un miliardo. Mediobanca, recitano le cronache dell’epoca, organizzò il pool dei finanziatori. Divenendo anche uno dei più importanti creditori. Ma dal progetto di finanziamento si capiva che gli unici introiti della Fondazione erano i dividendi di babbo Monte, che aveva bisogno dell’aumento di capitale per sopravvivere. Fu detto che la Fondazione avrebbe così finanziato la restituzione dei Tremonti bond, in realtà si è assistito alla moltiplicazione dei debiti, esattamente come ora si vorrebbe fare con l’ultima edizione riveduta e corretta dei Monti bond.
Mediobanca (anche perché pesantemente coinvolta come Joint Global Coordinator di MPS), non poteva non sapere – e di riflesso gli altri 10 istituti di credito che hanno finanziato l’indebitamento di Palazzo Sansedoni – che la Fondazione poteva pagare solo svendendo gli ultimi gioielli di famiglia rimasti, visto che reddito proprio non era in grado di produrne e dalla banca non sarebbero arrivate che briciole nella migliore delle ipotesi: il benedetto ammortamento Antonveneta si doveva cominciare a fare. La Fondazione più ricca d’Italia trattata alla stregua di un piccolo imprenditore che, rimasto senza credito, si rivolge ai canali del prestito per rimanerne strangolato. Il Sole 24 Ore scrisse che “il drappello numeroso (dei finanziatori, ndr) è una prova della buona affidabilità della Fondazione MPS come potenziale debitore”, senza aver visto uno straccio di contratto e senza conoscerne le condizioni. In realtà, s’è visto che non è andata così.