La tempestiva ricandidatura Ceccuzzi costringe tutti a girare intorno a vecchi concetti della politica

di Red
SIENA. La fine dell’estate è stata caratterizzata dalla polemica sorta sulla raccolta di firme da inviare al ministro Cancellieri per anticipare la data delle nuove elezioni per il sindaco. C’era l’urgenza di non lasciare senza guida la città in un momento così delicato, si disse. 700 firme raccolte all’inizio di settembre, il banchino al mercato del 19 del mese: l’attività del PD, sotto la guida di Giulio Carli, è andata avanti incessante. Ma a Roma non ne hanno voluto sapere e oggi il Ministro degli Interni ha chiamato al voto, per il 10 e 11 febbraio, le regioni Lazio, Lombardia e Molise.
Noi no. Siena attenderà due mesi dopo l’accorpamento con il rinnovo del Parlamento per vedere arrivare il nuovo primo cittadino.
Il sindaco dimissionario, in contemporanea alle scelte del governo di mandare Siena al voto in primavera, con un tempismo sorprendente, ha ufficializzato la sua candidatura a nuovo sindaco “bruciando” sullo scatto ogni possibile avversario. Questo significa che per Ceccuzzi le chances di tornare in Parlamento adesso sarebbero zero, che le dimissioni sarebbero state un errore politico macroscopico che lo costringe a ricrearsi una immagine vincente agli occhi dei leaders romani del partito. E che la strada per Montecitorio, in Toscana, si aprirà per qualche altro candidato, forse lo stesso presidente regionale Rossi,
Il nuovo sindaco sarà importante per il versante senese dei destini della Fondazione Mps. Il cammino che il governo ha intrapreso con la riforma delle province, avrà conseguenze sul futuro dell’ente, e una certa attenzione è d’obbligo per tutti.
Innanzitutto Bezzini, con tutte le limitazioni del caso, rimarrà al suo posto fino al 2014. Le elezioni del primo presidente della nuova provincia si terranno nel mese di novembre 2013, e l’ente che guiderà sarà declassato a secondo livello, sebbene con diverse competenze. La nuova deputazione che si andrà a nominare sarà eletta a luglio, cioè quattro mesi prima. Quindi, sarà decisa dal sindaco uscito dalle urne in aprile e dall’attuale inquilino di Piazza del Duomo. Poi, fra tre anni, si vedrà: le regole saranno riscritte o Grosseto sarà l’erede naturale della fu provincia, come la partecipazione nella Fises e in tante altre società?
Da una parte non si capisce come in Palazzo Sansedoni ci si affanni a studiare per partorire una riforma dell’Ente per mano di una Deputazione (in scadenza!) autrice di molti errori imperdonabili commessi sotto la gestione Mancini, che sono costati una perdita di valore di diversi miliardi di euro, anche a fermarsi alle sole valutazioni dei bilanci ufficiali, e il declassamento di un intero territorio. E’ bene che altri facciano le scelte. Ma la costante di questi due anni tragici per la storia della città è che nessuno dei protagonisti in negativo si sia ritirato dalla vita pubblica, dall’ex presidente Mussari (che dall’alto dell’Abi ha il compito istituzionale di vegliare anche su MPS) ai sindacalisti della Fisac che per anni hanno acconsentito a tutte le scelte industriali di una banca che era anche la loro, e che oggi vorrebbero guidare la rivolta contro se stessi. M
a se dovesse per la prima volta uscire dalle urne un sindaco non di matrice PD?