
SIENA. Oggi (25 luglio), alle 21.15 al Teatro dei Rinnovati, l’Accademia Chigiana di Siena attraverso il suo opera – laboratorio, animato dalle voci degli allievi del corso di alto perfezionamento in Canto di William Matteuzzi, allestisce quello che in ambito lirico è unanimemente considerato il “padre” di tutti i “Barbieri”: il Barbiere di Siviglia di Giovanni Paisiello, dramma giocoso in quattro atti, su testo di Giuseppe Petrosillini, dall’omonima pièce di Beaumarchais, tanto amato dai suoi contemporanei, al punto d’essere riuscito a oscurare la prima esecuzione pubblica della successiva versione di Rossini.
Coadiuvati dalla regia di Cesare Scarton, e con al fortepiano, Angelo Michele Errico, maestro concertatore, la compagnia mette in scena l’opera in una forma semi-scenica destinata ad approdare in teatro, nella stagione 2019-2020, grazie alla collaborazione del Teatro Coccia di Novara.
Era il 15 settembre 1782 quando al teatro dell’Ermitage di San Pietroburgo andava in scena la prima del Barbiere di Siviglia. Sotto il governo illuminato di Caterina la Grande, la musica italiana continua a ottenere accoglienza e lo stesso Paisiello vi lavora sin dal 1777. Il Barbiere è un’opera buffa, su libretto di Giuseppe Petrosellini, che deriva dalla celebre commedia di Beaumarchais, Le barbier de Seville, che tanto successo aveva ottenuto qualche anno prima alla Comédie-Française. Successo di scandalo e legato alle componenti “rivoluzionarie” di un testo che promuove con forza l’emancipazione servile, le critiche all’aristocrazia, le rivendicazioni di classe. Testo improponibile, sia pure per l’illuminata Caterina, che – in effetti – viene sottoposto a tagli e impietosi ridimensionamenti. Ogni traccia di satira sociale è esclusa e tutto confluisce nell’alveo ben più rassicurante dell’opera buffa napoletana. La vicenda ripropone il consueto diverbio fra il vecchio Tutore un po’ sciocco (Bartolo) e la coppia dei giovani (Rosina e Lindoro), coadiuvati dal brillante Figaro. Don Basilio, maestro di musica, non è altro che uno dei propulsori all’azione, come nel caso del Quintetto dell’Atto II, in cui il suo inopportuno sopraggiungere getta tutti i presenti nella confusione e nell’ansia. Don Basilio, semmai, sempre attento al tema del denaro, costituisce una leggera spia di un mondo che sta inesorabilmente cambiando e in cui il fascino dei soldi acquista uno spazio sempre maggiore (e anche Figaro ne è un rappresentante simbolico).
Da un punto di vista musicale, Paisiello riprende le tipologie formali note della commedia in musica del secondo Settecento. L’aria iniziale di Figaro, «Scorsi già molti paesi», non è altro che un omaggio all’aria di catalogo, sublimata poi nel Leporello mozartiano. L’aria della calunnia di Basilio conferma il carattere imitativo delle arie di paragone («La calunnia, mio signore»). Gli interventi del Conte di Almaviva, dalla serenata ai numerosi pezzi di insieme, suggeriscono una vocalità tenera e innamorata, nel più perfetto stile galante dell’epoca. Un carattere caleidoscopico rende, invece, la parte di Rosina assai variegata e mobile. Si passa dal canto elegiaco della sua cavatina («Lode al ciel») alla scena della lezione, con l’arietta che suggerisce un confronto storico con il recente passato (il primo Settecento) e provoca un effetto di distanziazione storica oltre che emotiva: il mondo di Don Bartolo è davvero vecchio e superato (e la Seguidilla da lui ballata ne è un esempio lampante). Insuperato rimane il Terzetto dell’Atto I fra Bartolo, lo Svegliato e il Giovinetto: le domande del Tutore rimangono inascoltate, sostituite dagli sbadigli dell’uno e dagli starnuti dell’altro. Una gag musicale che neppure Rossini volle emulare nel suo ben più celebrato Barbiere (1816). Si noti, tuttavia, che la struttura musicale delle arie e dei numeri chiusi non contempla mai l’antico daccapo: sono moduli monotematici, spesso sostenuti da un accompagnamento semplice e ripetitivo. Come ci suggerisce subito la Sinfonia iniziale, a predominare sono le logiche paratattiche, prive di sviluppo, in nome di una chiarezza comunicativa che diviene l’emblema stesso dell’Illuminismo musicale italiano.