ROMA. Le donne non possono esser criticate solo per la loro appartenenza al genere femminile e non si puo’ dire che, ad esempio, in un determinato posto di lavoro, sarebbe meglio sostituirle ”comunque, con un uomo”. Le critiche nei confronti delle donne, sganciate da qualunque riferimento a fatti specifici e riferite solo al ”dato biologico”, sono lesive della dignita’ della persona e si pagano con la condanna penale ed il risarcimento dei danni. Lo sottolinea la Cassazione confermando la condanna per diffamazione nei confronti di un giornalista e di un sindacalista per le critiche di genere che avevano rivolto alla
direttrice del carcere di Arienzo (Caserta).
La Suprema Corte ha ritenuto diffamatorio un’intervista pubblicata su un quotidiano locale di Caserta nel giugno 2002, intitolata ”Carcere: per dirigerlo serve un uomo”. Gia’ di per se’ il titolo e’ stato ritenuto, sicuramente, offensivo e offensivo e’ stato ritenuto un passaggio dell’intervista fatta dal giornalista Antonio C. ad un sindacalista della Cisl, Luciano D.M. che, parlando della situazione del Carcere di Arienzo diceva che per la struttura, diretta da Carmela C., ”sarebbe meglio una gestione al maschile”, senza ancorare questa affermazione a nessun elemento oggettivo. Senza successo il giornalista ed il sindacalista hanno invocato il diritto di cronaca e quello di critica sindacale.