Piccole precisazioni che rendono (per alcuni) la storia di difficile "assoggettazione"
di Mauro Aurigi
SIENA. Io voglio davvero bene a Roberto Benigni (e come si può non volergli bene?) e se possibile dalla sera del 17 febbraio, ossia dalla sua appassionata celebrazione del 150° dell’Unità d’Italia al Festival di San Remo, gliene voglio ancora di più. Quarantacinque minuti da mattatore come pochi sanno fare, cominciando come toscano impudente e travolgente e finendo come consumato padrone della scena e incantatore delle coscienze e dei sentimenti altrui (durante quei tre quarti d’ora ha incantato quasi 20 milioni di Italiani).
Un grande evento, dunque, nel corso del quale il Nostro, nella foga del discorso è inciampato in diversi svarioni storici. Ma si tratta di peccati appena veniali, perché il bilancio della prova è stato decisamente positivo. Uno di quegli svarioni però è degno di nota perché sono sicuro che nessuno se ne sia accorto o, meglio, temo che nessuno lo consideri tale. Anzi.
Benigni, per illustrare la grandezza della storia della nostra patria, non ha resistito alla tentazione di citare con enfasi Roma, il suo impero e soprattutto le sue legioni. Anche senza voler sottilizzare se sia moralmente ineccepibile la lode di un esercito aggressore del passato o del presente, rimane il fatto che la cosa fa comunque a pugni con l’animosità con cui il Nostro ha sottolineato il ruolo del Risorgimento quale liberatore dell’Italia dal giogo dello straniero. Voglio dire che se Benigni inneggia a Roma (italianissima, secondo lui) e alle sue legioni che hanno reso servi gli Iberici, i Galli e i Germani, come può subito dopo lamentare che Spagnoli, Francesi e Austriaci abbiano reso servi gli Italiani?
Non posso, però fargliene una colpa. E’ il mondo intero che guarda all’epica romana ancora con ammirazione e stupore. Non ho memoria di un solo analista moderno che abbia osservato come niente nella storia dell’uomo sia stato più simile alla cultura nazista della costruzione dell’impero romano. Di Cesare – inopinatamente ancora oggi sugli altari insieme ai più grandi macellai della storia (Alessandro Magno, Napoleone, Carlo V…) – si dice che abbia portato a Roma un milione di schiavi. Un’enormità visto che il mondo di allora era quasi disabitato. E quanti milioni ne avrà ammazzati per ottenere un simile risultato? E solo a colpi di spada e di lancia: chissà cosa avrebbe fatto se avesse potuto disporre dei sofisticati armamenti dell’attualità, camere a gas incluse. E chissà di quante altre turpitudini si sarà macchiato le mani oltre a quella della presa di Alesia e dello stermino dell’intera popolazione, rea solamente di avergli resistito eroicamente. Quarantamila erano i Celti asserragliati in quella città, tutti, uomini donne e bambini, passati a fil di spada in una notte sola, mentre Vercingetorige, l’eroe di quella resistenza, veniva portato in catene a Roma per esservi pubblicamente strangolato. Sorte non migliore Roma e le sue legioni riserbarono agli Etruschi (della cui cultura, a parte le tombe, nulla si salvò, neanche la lingua) oppure agli Ebrei o ai Daci. Questi ultimi furono sterminati e la loro terra ripopolata con coloni “romani”. Da qui il suo attuale nome Romania e la forte affinità della sua lingua con l’italiano (ma anche, sostiene qualche spirito ameno, i livelli di criminalità pubblica e privata così simili ai nostri).
PS: Il giorno dopo il parlamentare leghista Borghezio a “Otto e mezzo” su La7 ha avuto ovviamente da ridire. Come ha osato il Roberto nazionale citare tra le glorie patrie anche la battaglia di Legnano di cui i federalisti in servizio permanente effettivo hanno l’esclusiva? Diceva il Borghezio (giustamente) che quella battaglia vide i comuni italiani schierati sia da una parte che dall’altra. Ma qualcuno dovrebbe spiegare al sovrabbondante parlamentare che la parte in cui lui oggi si riconosce, quella lombarda, in quella battaglia invece combatteva contro l’europeo Barbarossa e, ironie della storia, in difesa di una Roma papale che all’epoca era ancora più terrona e ladrona di quella di oggi. Altrimenti Borghezio e i suoi sodali, continuando ad andar fieri di un mito che significa esattamente l’opposto dei loro sentimenti attuali, corrono il rischio di passare non tanto da ignoranti quanto da stupidi.
E a quei leghisti senesi che, coniando contemporaneamente senesità e leghismo, vanno tutte le primavere alla rievocazione leghista della battaglia di Legnano, qualcun altro dovrebbe svelare che il Comune di Siena combatté al fianco del Barbarossa contro la Lega Lombarda e il papa romano (questi, ancora ironie della storia, era il senese Rolando Bandinelli, alias Alessandro III).