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Direttore responsabile Raffaella Zelia Ruscitto
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Per chi suona la Campana. Se la nazionale chiama Pianigiani?

di Enrico Campana

SIENA. Il 7 febbraio Dino Meneghin diventerà presidente della Federbasket, e il primo a capire che questa non sarà una comoda poltrona. Però è uno temprato. La sua gloriosa carriera non è stata facile; ogni volta è dovuto quasi rinascere dalla serie record di ben 10 fratture, la più difficile delle quali, al polso, è stata ricomposta grazie a una placca metallica avvitata sull’osso. Per questo, se mi è permessa la battuta, ogni sua firma sarà ponderata e avrà davvero un… gran peso… 
Superdino, le cui gesta gladiatorie gli sono valse l’ingresso nella Hall of Fame, il “pantheon” del basket nonostante non abbia calcato i legni scintillanti della NBA, si troverà ad affrontare una serie di sfide pari ai duelli spettacolari con i vari Tkhachenko, Cosic, Divac e tutti i pivot americani con i quali si è confrontato per quasi 30 anni.
Dovrà dimostrare a se stesso, innanzitutto, di avere il fisico del ruolo in questo incarico di dirigente che richiede capacità di mediazione, sottigliezza, preparazione tecnica. Altrimenti, rischierà di impantanarsi nella burocrazia dello sport purtroppo intrecciata e mescolata con le già viscossissime norme dello stato. Dovrà dimostrare insomma di essere autonomo e non il robocop di Gianni Petrucci, come lo vuol far apparire il rampantismo della Lega dei canestri con la quale dovrà dialogare e/o duellare. Sì, la Lega che ha impedito a Franco Corrado, uomo navigato del basket, esperto amministratore e commercialista, di portare a termine il suo mandato, sebbene – mi raccontano – Sky gli avesse già messo nelle mani 4 milioni di euro, 1 milione in più per il rinnovo del contratto, anche se la corrente salita al potere in questo giro ne pretenderebbe almeno 6 contro ascolti di 200-300 mila contatti, che la pay tv vorrebbe fossero di più con un campionato più articolato geograficamente sulle grandi città. La Lega, attraverso il secondo presidente-stipendiato della sua storia, ha già proclamato ai quattro venti di voler contare di più col pericolo di spinte centripete se non di probabili strappi.
Naturalmente al Dino si chiede anche di portare felicemente in porto (entro il 22 maggio) l’assegnazione dei mondiali 2014, contenuta per ora in un libro di ben 246 pagine, tante quali il famoso programma di Prodi che contribuì a mandare a casa il Governo perché utopico. La FIBA chiede garanzie in termini di impianti (che per il 50 per cento mancano), di logistica, di sponsor a un’Italia che, ovviamente, ha una priorità ben più alta: l’Expo di Milano. La vernice di Pier Lambicchi che può trasformare le belle pagine di “A wonder of Land” (così si intitola il libro consegnato a Ginevra), è rappresentata dal sostegno che il Governo è disposto a concedere concretamente a Gianni Petrucci, deus ex machina dell’operazione.
Per organizzare il primo mondiale della storia azzurra servono, infatti, come minimo 40 milioni, compresi i finanziamenti per gli impianti, e lo stato è in pieno allarme rosso nei conti. Ma c’è anche una sottigliezza politica, Petrucci si è alienato le simpatie di tutto l’arco costituzionale, dalla Melandri ad An, per un peccato di ingratitudine (460 milioni di finanziamenti per una politica di medaglie e senza agganci con il sociale) e potrebbe esser lasciato col cerino in mano. Nei corridoi della politica e dei grandi media dicono che la preferenza nella corsa alla presidenza del CONI per necessità di discontinuità e carisma andrebbe a Franco Chimenti, il quale però, a sua volta, un favore al basket non lo negherebbe certamente, essendo il vice-presidente della Lottomatica Roma.
Dino dovrà però subito sciogliere quello che sembra un nodo minore, mentre si tratta invece di un complesso nodo gordiano, che può depotenziare chi lo elegge e voleva, se non sbaglio, andare subito al suo posto.
L’organizzazione del Settore Squadre Nazionali necessita di un assetto definitivo e più realistico per i tempi. Questa la priorità del suo mandato. Se il buon giorno si vede dal mattino, Dino ha mandato già un segnale preciso. Come Commissario – è passata quasi inosservata la decisione – ha trasferito su Charlie Recalcati (al fianco del quale ha operato come gm della nazionale negli ultimi 7 anni) il ruolo di Responsabile del settore azzurro. Non si è trattato di un gesto da vero amico, di un puntello politico, ma a prescindere… come si dice a Roma. Serviva per portare chiarezza in un momento di sbandamento generale e, quindi, ha deciso che la voce unica in materia di organizzazione e programmazione di tutte le squadre azzurre sia quella del CT.
Recalcati dovrebbe, secondo i regolamenti attuali, rimettere il mandato alla prima riunione del nuovo Consiglio Federale, ma sono convinto che Dino userà pugno di ferro in guanto di velluto per riformare uno statuto che risale ai tempi di Cecco Beppe. Pochi sanno, oggi, che nella Fip la responsabilità del settore Squadre Nazionali viene affidata ad un consigliere federale, quasi sempre quello che porta più voti. Non è più tempo di viaggi-premio di questo tipo e un presidente, specie se ha la competenza di Meneghin, deve poter compiere questo passo. Necessario come principio di nuovo governo per neutralizzare quello che Aldo Giordani chiamava i votaioli e io ho ribattezzato i “boiardi della cassouela” o i “proci” della pallacanestro. Quelli che hanno impallinato l’ex presidente Fausto Maifredi e ai quali è stato concesso di sbrodolare sulla rivista federale, mentre mi sarei aspettato nell’ultimo numero del foglio aziendale non un atteggiamento prono, ma una monografia sui successi del basket italiano o tutta dedicata alla candidatura dei mondiali, sbrigata con una sola paginetta all’interno.
Il contratto di Charlie Recalcati è post-europei, scade a settembre; il suo destino non deve essere legato ai risultati dell’Additional Round, il maxi spareggio per un sol posto agli europei di settembre in Polonia che vedrà la nazionale tornare in campo ad agosto contro Francia, Bosnia, Portogallo, Finlandia, e Belgio. Sarà lui infatti a decidere come responsabile se lasciare la panchina a un Ettore Messina, o magari passare il testimone (primo favorito il suo allievo Simone Pianigiani), ma personalmente in quel ruolo una scelta vincente sarebbe anche quella di Stefano Pillastrini, oggi al lavoro per il rilancio di Varese, uno dei pochi “cavalieri bianchi” della panchina e del basket. Un discorso a parte Nando Gentile, pronipote ai Porsenna, quello del “Guai ai vinti!”.
Vogliamo – tornando al Charlie nazionale – dare un calcio al sedere a una delle ultime poche bandiere che si sono rimaste e dar retta a critici che non vedono la trave nei loro scritti?. Vogliamo buttare alle ortiche le sue capacità organizzative, la sua esperienza prima come giocatore e poi come coach, il suo senso della realtà, la capacità di incassare, la sua reputazione internazionale e l’opportunità di affidargli non solo il ruolo di tutor del coach che verrà, specie se un giovane, ma anche quello di essere il responsabile della formazione degli allenatori e degli arbitri per un’opportuna sinergia e quindi essere l’autore e gestore del “progetto Londra 2012” per farne il capro espiatorio di una Federazione che negli ultimi due anni è stata allo sbando, non ha saputo creare un giusto rapporto con gli italiani della NBA, ha peccato di autorevolezza fino a non essere nemmeno quella sponda istituzionale che serviva ad Azzurra e al CT?
Su questa storia di Pianigiani alla nazionale parleremo la prossima puntata, non perdetela! Come andrà a finire, vi chiederete?. Beh, anticipo un ragionamento logico. Non mi stupirei infatti di vedere in azzurro il “Supersimo” della Lupa a furor di popolo e Ettore Messina sulla panchina di Siena, soprattutto se vincerà la sua Euroclub n.5. Pazientate dunque ancora un po’…
Ah, quando gli ho proposto questo giochino, Recalcati ha riso di gusto fino a quando l’umorismo ha lasciato spazio alla realtà. “In effetti – ha commentato dopo aver riflettuto – questo ragionamento ha una sua logica”.
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