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Direttore responsabile Raffaella Zelia Ruscitto
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Per chi suona la campana. Se il basket di Siena riscrive i confini

 

di Enrico Campana

SIENA. E’ alle porte l’8 settembre, data infausta, madre di molti vizi e mali della nostra Repubblica. Il giorno prima potrebbe però entrare, grazie alla “solita” Siena, negli annali del basket quanto mai aridi di novità e di entusiasmi, e non solo per le vicende della nazionale.

Il 7 settembre si apre la campagna abbonamenti della Mens Sana, e potrebbe coincidere con la posa della prima pietra di un ulteriore primato. Quello degli abbonati. Considerato che la Virtus ha venduto solo 2032 tessere, declassamento ingiustificabile (e speriamo solo momentaneo, per l’immagine della pallacanestro) quando essere l’unico club-vetrina della Dotta era incentivo già di per se minimo per allestire una squadra da scudetto. Risultato?. E’ stata smontata l’unica squadra che l’anno scorso poteva vincere lo scudetto, bastava solo darle un minimo di stabilità tecnica e motivazionale. Perché non è avvenuto?. Beh, un’idea ce l’avremmo: il Palasport di Casalecchio è stato un investimento privato molto molto oneroso…

C’è quindi la corsa al primato delle tessere, e adesso è in pole position Pesaro con un potenziale di 4500 abbonamenti. Cacciato il “tiranno” (Carlton Myers) c’è molto entusiasmo vedendo Piazza del Popolo – la piazza delle storiche adunate della città di Rossini – gremita di migliaia di tifosi. Da non trascurare la risposta di Varese che Flavio Vanetti, mio ex allievo alla rosea, prima firma del Corriere della Sera e lumbard doc, accredita come l’unica vera Basket City. Posso smentirlo avendo vissuto a Varese, Bologna e Siena. Che aveva, fino ad anni fa, il pubblico più competente. Adesso non so se sia ancora così, lo spero. Nel feudo leghista-calvinista del senatur questo sport continua però ad essere l’ama mater ludica-sociale. E questo nonostante le vicissitudini. La retrocessione di un anno fa è stata cancellata prontamente dalla promozione netta grazie a una squadra che, credo, ha dato la stura a un ragazzino destinato a diventare la prossima scelta italiana nella NBA, parlo di Niccolò Martinoni. Dobbiamo ringraziare un grande coach senza l’aurea del personaggio, un semplice intelligente quale Stefano Pillastrini. Il quale – ovviamente – non viene nemmeno preso in considerazione per la panchina della nazionale azzurra per la quale sarebbe già stato ordito un orrendo inghippo, come ha “denunciato” una libera mente quale Mario Blasone.
“Sì a Pianigiani-Banchi, ma mai in part-time”, ha detto il coach italiano che gode di maggior reputazione al mondo. Tornando a Varese, ha avuto la nipotina della gloriosa Ignis, una delle non molte buone idee in circolazione per il rientro nella massima serie. I propri tifosi sono stati infatti invitati a votare, fra diversi bozzetti la nuova maglia.
Il resto delle società, dopo aver grattato il fondo del barile dei passaportati e comunitari lasciandoci non solo le unghie, ma anche i gomiti tanto è stato il lavorìo. Parliamo insomma dell’improbabile fauna di un basket extraterritoriale che oltre a spaccare il movimento, e forse la stessa Fip neo-meneghiniana, ha fatto proliferare un black-market ufficiale nell’area levantina d’Europa, un mercato di braccia e valuta pregiata che la FIBA finge di non conoscere.

Naturalmente, come ho già ripetuto molte volte, il motto di questo basket-spaghetti sembra “ognuno per sé e… le polemiche per tutti”. E’ promozione a tutto gas, salvo rare eccezioni, e in mancanza di campagna centrale organizzata dal consorzio dei club professionistici, non solo quelle che si fanno per vendere il latte e la birra come prodotto ma quelle a sfondo sociale. Cosa dire di certe iniziative di comunicazione e marketing di cui leggiamo proprio sul sito Lega Basket? Bologna a Milano sono partite rilanciando il solito manifesto anti-italiani, ribadendo quelle contro giovani con la loro ”mentalità sbagliata” . Ma allora perché continuano a investire sui vivai, allora? I conti non mi tornano, e ho provveduto ad archiviare le prime esternazioni ufficiali. Dal contenuto ..anti-evangelico per il quale meglio sarebbe vedere la trave nel proprio occhio piuttosto la pagliuzza in quello altrui. E quindi procedere con un minimo di umiltà o sensibilità nel rilasciare dichiarazioni devastanti, incendiarie, che traslate nel panorama del calcio sarebbero diventate un boomerang per i soliti “esternauti”.
I tifosi di queste due squadre sono forse contenti del mercato, mi chiedo?  No, se dicono: non si vincono gli scudetti con i prestiti di Siena, lasciando andare via il miglior giocatore del campionato (Keith Langford, nel caso delle V nere) o servendo su un piatto d’argento ai rivali (nel caso del club meneghino) un fuoriclasse quale David Hawkins che ha spostato negli ultimi anni la lotta per il 2° posto.

A suo modo, Siena (ma ci sono anche altre realtà, vedi Teramo, Biella, Avellino) ha cercato almeno di riempire con concretezza questo vuoto centrale di comunicazione e di marketing del basket, e lunedì 7 settembre arriverà la prima risposta. Le formule Gold, Fedeltà, Famiglia, studiate per cercare di arrivare al vertice della compagna abbonamenti, sono incardinate infatti sul momento sociale, con riduzione per i giovani e giovanissimi, gli universitari, i cral, la famiglia e persino per i… genitori single.

La prima opzione (Gold) è una scommessa sulla Mens Sana vittoriosa, riguarda tutte le partite casalinghe della stagione, offre anche una riduzione del 15 per cento. Il costo dei biglietti è invece aumentato del 5 per cento. Una bazzecola se paragonati ai prezzi, ad esempio, del “concetto basket-spettacolo” che Bologna ha mantenuti nonostante il ridimensionamento a tutto campo, compresa la rinuncia a difendere l’unica coppa europea vinta dai club italiani nelle ultime 8 stagioni. E mi chiedo: c’è mai un rispetto, in questa stridente dicotomia, per il tifoso del basket, generalmente più maturo e competente di quello del calcio in quanto a comprensione tecnica del suo sport? Possono essere felici e contenti, ad esempio, i virtussini di pagare 2-3 volte il prezzo di Siena con una squadra inferiore? E i tifosi del basket vedere che Siena può offrire a prezzo sociale (evidenziata dalla vistosa dicotomia fra i 5300 spettatori di media e i 33 mila euro d’incassi) il miglior spettacolo avendo i Kaka e gli Ibrahimovic della situazione? Davvero gli converrebbe ai buongustai bolognesi, visto che le due città distano un’ora e mezza d’auto, abbonarsi a Siena…

Mi chiedo: ma la Lega Basket non dovrebbe correggere queste anomalie che fanno capire come il nostro amato sport fra i tanti problemi non abbia risolto un preconcetto: quello dell’omogeneità come base per un riequilibrio in grado di maggior competitività e superare l’idea di isole e isolamenti?

Mi scuso per essermi troppo dilungato, ma su ogni magagna del basket si potrebbe scrivere un trattato comparativo con altri mezzi di cosiddetto interesse sociale. E quindi tratterò nella prossima puntata lo slogan “Tracciate i nostri confini” che quest’anno ispira la campagna abbonamenti. E che ha contenuti sibillini e subliminali stimolanti per un dibattito con quel richiamo al do ut des (il noi e il voi che rappresentano sue fasi della moderna scienza della sociologia) sullo sfondo del nuovo assetto della Fondazione. Più che mai provvidenziale – posso affermarlo? – in presenza di minori utili della banca, e quindi di un pericolo di scalate esterne. Alla Fondazione sarebbero già orientati a tagliare i 50 milioni dati allo sport, mentre se alla prima conferenza stampa l’argomento non è stato trattato questo conferma che il progetto palasport è finito in un cassetto. A parte un costo di 60 milioni di lire, senza un financing-project a largo raggio, avrebbe avuto – sembra – una ricaduta sulle sole istituzioni locali che stanno muovendosi in una direzione di opportuno riposizionamento sociale determinato dalla crisi. E ragionano così: lo sport senese ha goduto di investimenti maggiori rispetto a qualsiasi città d’Italia, e adesso deve essere invitato a gestire proprio quelle maggiori risorse profuse negli ultimi 5 anni.

E la sapida battuta di Gabriello Mancini sembra proprio l’epitaffio dergli anni delle vacche grasse. “Siamo una banca, non un bancomat”  ha detto l’homo prudens di San Gimignano. Un politico Dc vecchio stampo, sensibile alle mutazioni della società, di quelli fra La Pira, Marcora, Zaccagnini. Così, almeno, l’ho conosciuto oltre 30 anni fa quando passavo le mia vacanze a San Gimignano fra la mitica Patria di Piero e Iole, il Bel Soggiorno e i gli esercizi spirituali all’Abbazia di Cellole.

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