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Direttore responsabile Raffaella Zelia Ruscitto
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Per chi suona la Campana. Il basket fra la storia e le storie

di Enrico Campana
SIENA. Anche se ero influenzato e  dalle mie parti c’era un nebbione che si tagliava a fette, mi sono precipitato volentieri a Siena. Il boccone era ghiotto. Per nessuna ragione avrei voluto mancare alla storica giornata in agenda mercoledì 25 novembre.
Pochi sanno che la storia è la mia passione. Avessero avuto i miei esemplari genitori,con 5 bocche da sfamare, i mezzi per permettermi di dedicarmi solo allo studio  avrei fatto lo storico di professione. Mio padre, trasferitosi da Rimini a Varese, capitale italiana della calzatura ai tempi del miracolo economico, sognava per me un futuro dietro il banco di un negozio di scarpe o come avvocato. Ho preferito invece, a 15 anni, fare il giornalista, cronaca nera, bianca, spettacoli e anche inviato-baby a un congresso DC a Udine a metà anni sessanta. Siccome giocavo anche al basket (si battè la Canottieri Milano di Eleni e Pippo Faina e fu la promozione in B) e scrivevo sulla Prealpina, il marchese Guido Carlo Gatti  da Gubbio mi segnalò alla Gazzetta dello sport, e devo a Marco Cassani (e al grande Gualtierino, al secolo Gualtiero Zanetti, oltre che alla famiglia del Conte Bonacossa), l’ingresso a vele spiegate nella rosea,. Così poi ho  cercato a mia volta di fare con altri giovani, magari con un senso di gratitudine come nel caso di uno dei migliori scrittori giovani italiani, Francesco Piccolo, sceneggiatore  e scrittore di successo, finalista al Premio Strega e autore, a sua volta, di un bel libro sulla pallacanestro.
Come appassionato di storia, rincorro un po’ i grandi avvenimenti che hanno lasciato un segno. C’era un buco da riempire, quello del 25 novembre, fra due pagine  tragiche della storia, l’assassinio di Kennedy del 23 novembre 1963 e il processo del Norimberga del 27 novembre, Siena questo buco l’ha riempito  fortunatamente con un libro  importante dedicata al nostro amato sport, sperando che rifletta di fronte alla sua storia. L’agenda  del 25 prevedeva anche il disgelo nel rapporto fra Dino Meneghin e Ferdinando Minucci, rispettivamente presidente della Federbasket e della Mens Sana Basket, i quali avevano avuto il torto di non parlarsi direttamente, altrimenti avrebbero chiarito da tempo due posizioni convergenti. Fra gente di sport basta una stretta di mano e tutto si chiarisce, lo sport ha inventato le Olimpiadi per fermare le guerre, il basket ha creato un timido disgelo anni fa fra America e Cuba e ha avuto un ruolo fondamentale per l’avvio della relazioni, anni fa, grazie alla politica del ping pong.
A proposito di storia e di “incontri storici” per la felicità di un luminare come Maurizio Degli Innocenti, autore senese di importanti pubblicazioni da Garibaldi a Turati e  Stalin, e che ha sorretto scientificamente con Antonio Cardini dell’Università di Siena l’uscita del libro “Storia sociale della pallacanestro in Italia”, stavolta non era prevista nessuna “nuova Teano”, nessun “obbedisco” come la volta che l’eroe dei Due Mondi piegò il capo davanti a  Vittorio Emanuele
Sono tornato a casa felice e contento. Potenza di Siena che dopo il furore del Palio celebra la riunificazione collettiva. Si è consumata senza teatralità una scontata pax azzurra che, ripeto, si fondava solo su un misunderstanding, una non-comunicazione determinata nella mancanza di una grande regia del nostro movimento ragione principale delle  troppe polemiche e degli inopinati smacchi (da ultimo il mondiale assegnato – per procura? – alla Spagna). E’ stato bravo, Ferdinando Minucci, a giocare di contropiede ricordando il contributo di Siena alla nazionale (“quando potevamo farlo”) e a sottolineare che il basket ha bisogno di un Meneghin uomo forte anche fuori dal campo. Nella sua bella esposizione, in chiave “sociologica” molto nitida, efficace, stupendamente naive, SuperDino ha paragonato la vita del cestista a quella dello scolaro: “Nella scuola c’è il bidello, che è come il custode della palestra, ci sono gli allenatori che sono i professori, gli scolari che sono i giocatori, e il preside, che è il dottor Minucci…”.  Dopo questa frase ”storica” non c’erano angoli remoti da smussare e, lasciando Siena,  il presidente ha dichiarato con gran sorriso "Si farà, nel supremo interesse della Nazionale".
Desidero esprimere gratitudine a questo libro  che ho divorato in una notte d’insonnia. Va oltre l’opera precedente  di due “insider” (o insourcing?), come il Vate del basket (al secolo Valerio Bianchini) e il collega Mario Arceri, e storicizza il nostro movimento in maniera più ampia e dotta com'è nella dialettica propria nella sociologia; tratta l’evoluzione di questo sport  “innovativo e moderno come pochi altri”. Attraverso sei capitoli i suoi autori, il senese  Saverio Battente e il felsineo Tito Menzani, forti di spessore accademico ma anche di passione (il primo è anche allenatore delle giovanili del Costone).  hanno dato una passata di mano  lieve (“e in positivo “, come  puntualizzato dal professor Degl’Innocenti, cosa buona e giusta) a oltre un secolo di vicende, fatti, partite, trofei.
Nella bibliografia ci ho ritrovato il lavoro di tanti personaggi e illustri colleghi e anche il mio lungo e modesto impegno con la Gazzetta, la direzione di Superbasket,  la fondazione di American SB, la nuova esperienza su Internet, che significa non stare indietro ai tempi nuovi, e ben due edizioni dell’Enciclopedia del basket , l’ultima di 4 volumi e 1000 pagine. E il contributo di tante figure importanti mi ha fatto dimenticare le pagine meno liete, anche recentissime,  di questo lungo  percorso. Magari, da appassionato di storia a storici di professione, mica per criticare – conscio di quale impegno c’è dietro in un libro che racchiude oltre due millenni (perché il basket si chiamava Pok ta Pok ed era un rito sacrificale degli Incas) e in  Italia ha “solo”120 anni –  mi sarebbe piaciuto leggere anche qualcosa che troverò nella prossima edizione. Ad esempio, sulla famosa “Razza Piave”, grande nutrice del basket del dopoguerra, sul gioco in sé, la dialettica degli allenatori, la missione arbitrale, che nel  basket è ancora “impegno sociale” sottratto alla famiglia e professioni spesso importanti. Sull’intervento del famoso statista in un’altrettanto famosa partita di basket finito con dimissioni a catena dell’organi disciplinare, capisco, sia conveniente passare oltre, ma è bello raccontare anche di “ideali alti”, che alla fine significa buona storia. Lo dimostra Siena con le sue Mens Sana, Virtus, Costone e tante altre nicchie di passione, le V nere bolognesi e, soprattutto, la bella storia che mi raccontò un giorno Adolfo Bogoncelli,  il quale decise di creare una grande squadra a Milano per fare propaganda all’italianità di Trieste. E magari in un contesto più ampio mi sarebbe piaciuto anche sapere del famoso Gassman, mattatore anche sul campo di basket, o  cercare di capire perché alcuni giocatori non ce l’hanno fatta al punto di finire al centro di una tragedia, e non solo nel caso di Vendemini. Dico a quelli che il basket ha isolato, per rimanere a esempi ravvicinati.
E come dimenticare  guardando oltre oceano a quell’American Way of Life  più volte sottolineata che ha espresso un’operazione di marketing come il Dream Team,  l’adesione di Lew Alcindor alla protesta degli studenti della famose università americane,  il Black Power, e la conversione alla religione islamica come Abdul Kareem Jabbar?. O il ritiro di Magic Johnson per la sieropositivià e le sue notte brave, o l’andata e ritorno di Michael Jordan dal parquet con la scusa del baseball, quando tutti sapevano del tarlo del gioco d’azzardo?. O, infine, noblesse oblige, il passato italiano di Bill Bradley, che diede  la prima coppa dei Campioni al Simmenthal e al basket italiano ai tempi in cui studiava già da senatore democratico (sensibile alla causa dei pellerossa) e ogni 15 giorni la società milanese lo andava a prendere a Londra con un aero-taxi privato?  
La giornata senese mi ha riservato altre cose buone e positive. Una dedica di Saverio Battente che forse non merito e voglio dividere con tutti i colleghi, anche quelli di provincia.. Il sapere del contributo dato nel 1909, gli anni degli slanci del Futurismo, da un dirigente del Costone che acquistò a Londra il primo paio di canestri non solo visti a Siena ma forse in Italia, come ha ricordato Patrizia Morbidi, la coraggiosa  presidentessa del Costone, una delle poche donne che hanno questo ruolo nel basket, più che perfetta nel ruolo di consigliere federale. Oltre ad avere dato uno degli autori, il Costone ha  patrocinato il libro con la Federazione Italiana pallacanestro  e la Lega Nazionale Pallacanestro, oltre al contributo del Centro Interuniversitario di Ricerca dell’Università di Siena e la Fondazione Monte dei Paschi.
Infine, ho rivisto Ferdinando Minucci dopo un anno, un saluto veloce, il convegno stava per iniziare. Avrei voluto ripetergli l’invito fattogli quella sera a Firenze: è tempo che prenda in mano le redini della Lega, ora più che mai dopo queste convergenze. Del resto, avevo scritto, anni fa, una frase che il decano senese dei giornalisti  che un giorno volle ricordarmi in un articolo sul mensile senese. Diceva: “Un giorno tutto il basket dovrà fare i conti con Minucci”. In fondo anche questa che sembrava una boutade è già…storia…
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