Con i piedi su una terra ballerina
SIENA. La curiositå di capire questo tempo e la voglia di conoscere le opinioni di altri – che non siano la mia fotocopia o quella dei miei pensieri o dei miei interessi di bottega – mi spinge a vagare tra editoriali e articoli sui quotidiani di questa Europa problematica. Navigare per la rete e frequentare un’edicola ben fornita non sono più piacevoli abitudini soprattutto domenicali, ma diventano ormai un randagismo nevrotico, alla ricerca di capire quali saranno i criteri e le emozioni che muoveranno grandi eventi e sommovimenti di un globo terracqueo iperstudiato… fino (a me pare) a perdere di vista alcuni fattori che potranno causare crisi e drammi.
Intanto, sarò infantile o rincoglionita, questa terra non mi pare più cosī “ferma” come quando, neĺle storie che leggevo fin da piccina, qualcuno a bordo di una barca gridava “terra!, terra!”. La cosa che mi ha terrorizzato di più, tra quelle lette negli ultimi mesi, ė stato apprendere dell’esistenza dei super-vulcani e capire di avercene proprio uno sull’uscio di casa, cioè dalle parti del Vesuvio, che di quel sistema fa parte, con tutto ciò che sta lì intorno e nei dintorni allargati. Riflettere su tutti i terremoti di casa nostra e a quelli di cui veniamo informati, che avvengono in giro per il mondo, fa intuire di essere con i piedi in terra, ma di una terra ballerina e pronta a diventare fluida e molto meno romanticamente ospitale di quanto si pensasse. Eppure, nonostante si sappia che prima o poi ci toccherà un’eruzione all’indonesiana o all’islandese, nessuno ha pensato nemmeno lontanamente di mettere in atto un cambiamento di sguardo rispetto a un problema che sappiamo per certo che dovrà essere affrontato, per consentirci di affrontarlo nelle condizioni meno drammatiche possibili. Mi riferisco all’abusivismo edilizio in zone a rischio: rischio ben conosciuto, sia da chi ha scelto di stare lì e/o di costruire lì, ma anche (soprattutto) a chi per ruolo ha (avrebbe) la responsabilità di impedire queste abusività che possono pure rivolgersi contro chi le commette.
Ma questo giro di anno ci ha propinato altri esempi dell’ineluttabilitå delle conseguenze, a fronte di menefreghismi, abusivismi, imprudenze; o anche solo mancanza di uso di buonsenso. Parlo di argini, coste, montagne, dove vento e acqua mandano in niente quello che noi ci ostiniamo a costruire, ignorando le regole elementari di un ambiente messo alla prova, dove chi amministra non ė in grado (per stupidità? corruzione? inadeguatezza? mancanza di strumenti?) di far rispettare regole che già esistono. Sembra ieri sera che l’Italia sembrava stesse disfacendosi tra mareggiate e fiumi in piena e bufere. Tutto dimenticato, dopo due giorni, come i terremoti dei cui esiti ė disseminato lo stivale?
Ma se alzo anche di poco la testa ho la certezza che, dal punto di vista della prevenzione, della capacità di leggere le conseguenze di ciò che accade tutti i giorni e di cui sembra nessuno prenda nota, tutto il mondo è davvero paese.
In pochi giorni mi sono passate sotto gli occhi notizie sulle popolazioni in marcia verso gli Usa, in fuga da miseria e bande armate, le inquiete rivolte di europei senza etichetta precisa che si rivoltano contro regimi che ai più non sembravano tali; leggo un’intervista a un sinologo portoghese e capisco che non solo il mondo è molto più cinese di quanto non sospettassero i più avveduti e informati, ma che la Cina sta recuperando a sé i confini fisici, territoriali, censendo e collegando scogli e isole anche minuscole, per aumentare e consolidare il proprio spazio vitale, mentre sull’altro piano si muove per divenire il nuovo centro d’influenza, prima della grande Asia e poi del mondo intero. La stessa Cina, che da decenni sta giocando in Africa un ruolo che gli europei e il mondo occidentale si sono ben guardati dall’osservare, sta lanciando messaggi concreti all’Europa, inaugurando, in Portogallo durante una recente visita storica, una via della seta che suona ben più che la rivisitazione emblematica di antiche esplorazioni …
Intanto, da anni abbiamo assistito a diaspore che ci raccontano come la disperazione e la paura, da un lato, o dall’altro, anche solo l’illusione di uno stile di vita (di cui si ignora l’agonia in corso), fanno muovere milioni di persone – ognuna con un suo sogno in testa, ricordiamocelo bene – con una marcia più scontata e conosciuta, verso un ‘Europa che non è quella sognata o immaginata, né da chi attraversa il mare per raggiungerla, né, ormai più, da chi ha lottato, sperato e votato, affinché ci fosse. Ammesso che ci sia mai stata la possibilità che l,’Europa uscita dal nazismo potesse ritrovarsi come in quell’illusione…
Tra tutti questi pensieri, continuamente se ne affaccia uno, che mi accompagna da anni. Siamo ormai quasi otto miliardi e sappiamo che ogni salto demografico porta squilibri di cui, ogni lustro, quelli che erano lì per occuparsene ci dicono che danno vita a problemi terribili. Sono passati alcuni decenni da quando i cosiddetti paesi civili hanno, apparentemente, smesso di considerare gli abitanti dei paesi in via di sviluppo cittadini di serie B a loro disposizione, e senza il diritto a una vita decente. Se questo sguardo è davvero cambiato, se davvero è così, che cosa deve succedere per affrontare il tema della crescita demografica e dell’occupazione umana, senza subirla passivamente?
