Seconda parte dell'intervento di Mauro Aurigi sulla "questione politica"
Segue da Il Cittadino on line del 25.6.2018)
di Mauro Aurigi
Probabilmente non c’è speranza. Ci vorrebbe prima di tutto la presa di coscienza generalizzata del problema, e poi investimenti, non in denaro (la riforma sarebbe a costo zero), ma in volontà politica che allo stato non è assolutamente prevedibile. Investimenti in cultura della democrazia soprattutto nelle scuole e nelle università, ma anche a partire dalle elementari. E’ quello che hanno fatto i paesi più evoluti e ricchi del mondo, dove si sa che la democrazia non è solo portatrice di principi etici e morali (libertà, uguaglianza, giustizia, solidarietà ecc.), ma anche e soprattutto è portatrice di floridezza economica diffusa, da cui la cultura (i poveri sono ignoranti) a sua volta causa di arte e scienza, ossia di civiltà. E questa è una regola che non ha eccezioni a livello planetario. Esiste una prova di tutto ciò, assimilabile alla questione meridionale italiana: a niente altro che ai diversi livelli di democrazia è attribuibile la differenza abissale tra America del nord e del sud, la seconda addirittura più ricca di risorse naturali della prima, ma enormemente più depressa e incivile. Oppure si pensi all’Africa, continente più ricco di risorse dell’intero pianeta, ma abitato dai popoli più poveri del mondo perché la democrazia vi è del tutto ignota. E comunque c’è un’altra verità incontrovertibile: l’Occidente è più ricco e civile del Terzo e Quarto Mondo per il solo motivo che ha adottato livelli di democrazia più alti: non si dimentichi che i tre Orienti, l’arabo, l’indiano e il Cinese, fino al XIII secolo d.C. sopravanzavano l’Occidente di secoli. Anche in questo caso la scintilla per il sorpasso cominciò con la civiltà comunale dell’Italia del centro-nord e il culto della libertas del suo Umanesimo civile (Le origini del pensiero politico moderno, Quentin Skinner, Cambridge).
QUANDO I “GRILLINI” DISCUTEVANO DI ROUSSEAU, BRECHT E KENNEDY
In Italia un tentativo c’è pure stato. L’ha portato avanti Beppe Grillo da solo e generosamente, senza costi economici, anzi guadagnandoci non poco, dai palchi dei suoi spettacoli (anche all’estero), denunciando il marcio del “sistema” dopo che nel 1986 era stato cacciato dalla RAI per una ferocissima battuta in tv su Craxi e il Psi. Giurò che mai più sarebbe tornato alla RAI. Ma nel frattempo aveva messo in piedi un blog che per numero di interventi era diventato il secondo del pianeta. Da qui, probabilmente con la partecipazione di Gianroberto Casaleggio, sviluppò a partire dal 2005 un movimento esclusivamente indirizzato all’emancipazione politico-culturale della società civile contro il “sistema”, ipotizzando l’applicazione della forma più avanzata di democrazia, quella “diretta” o “partecipata”. Di questo e non di altro parlavano le migliaia di iscritti alle più di 100 piattaforme locali dette “Meet up” che al blog di Grillo facevano riferimento. Per 5 o 6 anni non si accennò mai all’ipotesi di entrare nell’agone politico partecipando alle elezioni. La crescita, non solo dei numeri ma anche e soprattutto della formazione politico-culturale, ci fu e notevole: prima di tutto tra le decine di migliaia di simpatizzanti che si cimentavano in estenuanti conversazioni sul forum, ma anche all’esterno, visto che i forum erano aperti alla lettura di chiunque e gli interventi pure, ma previa iscrizione, anch’essa consentita senza limiti di sorta (a Siena si era arrivati a 800 iscritti).
Basti pensare alla fortuna che in quel contesto ebbero aforismi di questo tipo: “Non abbiamo bisogno di buoni politici, ma di buoni cittadini” di J.J.Rousseau (e, sia detto tra di noi, chiunque pensi che siano i buoni politici a fare i buoni cittadini è di destra, mentre è di sinistra chi pensa l’opposto); o “Beato quel popolo che non ha bisogno di eroi” di Berthold Brecht; o “Non domandatevi cosa il governo può fare per voi, ma domandatevi cosa voi potete fare per la Nazione” di J.F. Kennedy.
LA LOGICA SUICIDA DEL “MEGLIO UN UOVO OGGI CHE UNA GALLINA DOMANI”
Ancora qualche anno su quella strada e avremmo avuto un M5S più maturo e una platea popolare più evoluta, senza bisogno di questo rischioso, soffocante, velenoso, probabilmente letale, abbraccio con Salvini, che oltretutto cancella ogni possibilità di instaurazione della democrazia diretta.
Ora la crescita politico-culturale del corpo sociale non è più nei programmi. Secondo la logica “meglio un uovo oggi che una gallina domani”, si è preferita subito la lotteria per le poltrone della plancia di comando, con un’inquietante oscillazione contro natura tra destra e sinistra (Pd e Lega). E Di Maio nel corso della campagna elettorale e governativa ha quasi eliminato dal suo lessico personale il termine “democrazia”, soprattutto se seguito dall’aggettivo “diretta”. E non ha quasi mai parlato in prima persona plurale (“noi”), preferendo di gran lunga quella singolare (“io”). E non ha mai parlato di vittoria al Parlamento, ma di presa del governo. Evidentemente aveva ben imparato la lezione personalmente impartita da Berlusconi e D’Alema e soprattutto da Renzi. Quest’ultimo da capo del governo non solo faceva le leggi, ma voleva anche modificare la Costituzione. A questo proposito Di Maio non è voluto essere da meno: anche lui nel “contratto” con Salvini propone modifiche costituzionali, di cui due assolutamente perniciose.
RIDUZIONE DEI PARLAMENTARI = RIDUZIONE DELLA DEMOCRAZIA
Una di queste prevede la riduzione dei deputati a 400 e dei senatori a 200. Il duo Salvini/Di Maio evidentemente non conosce la “regola aurea” della democrazia che è tanto più ampia e avanzata quanti più sono quelli che decidono e viceversa. Insomma il massimo della democrazia, e quindi della prosperità, lo si raggiungerebbe se il popolo fosse messo nelle condizioni di decidere direttamente. O forse quello che i due vogliono raggiungere è altro: se le leggi le fa il loro governo invece del parlamento o, meno che mai, il popolo, c’è un’enorme dilatazione del loro potere personale, con buona pace della nostra già malridotta democrazia e ricchezza. Nessun riferimento invece fanno alla riduzione degli enormi benefici economici e normativi della Casta: con lo stesso costo complessivo si poteva mantenere un’unica Camera con 2000 esponenti (espansione della democrazia), dimezzando gli appannaggi individuali e dimezzando quindi l’appetibilità della carica, cosa che avrebbe anche ridotto le rivalità tra candidati e tra partiti alle elezioni, rivalità che ora è così feroce, costosa e “interessata”, non per affermare le proprie idee, ma solo per garantirsi i sostanziosi privilegi personali della carica. Insomma si potevano prendere due piccioni con una fava sola.
Tanto per capirsi: la città di Siena nel Trecento aveva più o meno 30.000 abitanti e un Parlamento di 360 componenti, in carica per un solo anno, non rieleggibili. La Repubblica italiana, in proporzione, oggi dovrebbe avere 720.000 parlamentari. Ma in particolari situazioni di gravità (per esempio la decisione di una guerra) il Parlamento senese poteva arrivare a 1500 rappresentanti. Per starle alla pari, per esempio in occasione della partecipazione alla guerra contro la Serbia e a quella contro l’Irak, l’odierna Repubblica avrebbe dovuto radunare un Parlamento di 3 milioni di persone. E’ non c’è dubbio che quel livello di democrazia medievale lavorò bene, visto che ancora oggi almeno l’80% delle odierne risorse sociali, economiche e culturali cittadine dipendono, forse caso unico nel pianeta, da ciò che fu fatto allora, 500 o 1000 anni fa: Banca, Università, Ospedale e turismo, per citare i cespiti più importanti.
COME SALVARE I PARTITI DALLA CANNA DEL GAS
Ma ancora più grave è la proposta di introdurre il vincolo di mandato nella nostra Costituzione che invece all’art. 67 recita seccamente: “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”. I Padri costituzionali lo sapevano bene che i partiti potevano diventare pericolosi, per cui li hanno praticamente esclusi dalla Costituzione: di essi non si parla neanche per le elezioni e neanche per la formazione del governo. Neanche l’art. 67 li cita, ma è chiarissimo che si intese allora affermare che i parlamentari non sono vincolati ai partiti e neanche ai loro elettori, ma sono un corpo unico di rappresentanti del popolo unitariamente inteso. Introducendo il vincolo di mandato invece si assicurerebbe nuovo e prezioso ossigeno agli asfittici partiti che da semplici associazioni private si eleverebbero addirittura a Istituzioni costituzionali e, quel che più conta, otterrebbero la riduzione degli eletti a servi dei partiti, anzi a servi dell’uno solo o dei pochi che quei partiti controllano. Insomma gli eletti non potrebbero più cambiare idea e neanche partito (neanche se a cambiare idea e casacca fosse il partito stesso). Una ben triste fine per chi, come il M5S, era nato e cresciuto soprattutto per la lotta alla partitocrazia, riconosciuta giustamente come massima responsabile della riduzione dell’Italia e degli Italiani a fanalino di coda dell’Occidente. Alla faccia di coloro che hanno sempre creduto alla lotta della Lega e del M5S contro la Casta e contro il Sistema ed ora scoprono che invece è al loro rafforzamento che si stanno dando da fare.
(segue)
