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Direttore responsabile Raffaella Zelia Ruscitto
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Banche rosse e clienti in braghe di tela

SIENA. Bertolt Brecht, noto drammaturgo di fede comunista, era solito domandarsi se fosse più criminale fondare una banca che rapinarla. Se ponessimo il quesito ai clienti rimasti in braghe di tela di Banca dell’Etruria e del Lazio, di Banca Marche e delle Casse di Risparmio di Ferrara e di Chieti, probabilmente risponderebbero che criminali sono i vertici di quelle banche che, mentre ordinavano ai propri dipendenti di vendere obbligazioni subordinate emesse dai medesimi istituti ormai decotti anche a pensionati e casalinghe, decidevano nei loro cda di liquidarsi prebende faraoniche.

A mio parere tre sono gli aspetti da evidenziare dell’ennesima dolorosa vicenda accaduta nel mondo bancario italiano, dei quali il primo è di una evidenza lapalissiana: tutte quelle banche hanno impresso il marchio del Partito Democratico, dominus nelle regioni di appartenenza. E in effetti il partito delle banche ha fatto di tutto per salvarle, o meglio per tutelare i suoi vertici, mentre ha lasciato alla deriva migliaia di clienti, che si presume in massima parte essere suoi elettori.

D’altronde il Pd è un esperto in materia, avendo provveduto a “rivitalizzare” il Monte dei Paschi di Siena con l’operazione Antonveneta. Ed anche in quel caso sembra che i veri artefici del disastro siano riusciti a sottrarsi alle loro responsabilità e a far cadere nell’oblio connivenze e correità, cosicché a pagare dazio sono rimasti i piccoli azionisti e i dipendenti. Chapeau!

Il secondo riguarda l’inveterata abitudine delle banche di vendere – nonostante solenni dichiarazioni di tutelare in primis gli interessi dei clienti – prodotti rischiosi, ad esempio le obbligazioni subordinate altrui e soprattutto proprie, a prescindere dai profili di rischio reali e dalle effettive situazioni patrimoniali e finanziarie. Sono operazioni illegittime, perché contrarie alla buona fede, che sono perfettamente a conoscenza degli organi di controllo, i quali dovrebbero provvedere ad interdirle, ma, come al solito, gli interventi sanzionatori avvengono sempre ex post.

Ed allora non possono essere che i dipendenti – nel nostro caso quelli delle quattro banche più una, il Monte (Il Sole 24 Ore del 23 novembre 2015 riporta che le emissioni subordinate di questo istituto “a bilancio 2014 valevano 6,1 miliardi”) – a rimettere le cose a posto, rifiutandosi di porre in essere quelle operazioni nei riguardi di tutti quei clienti che non sono in grado di riconoscerne l’alea e negli altri casi ricordandosi che è un loro dovere non nascondere o non minimizzare la loro vera natura di capitale di rischio.

E’ vero, la verità è che vi sono spinte fortissime nell’ambiente di lavoro per la loro vendita, con vere e proprie minacce e ricatti di conseguenze negative lavorative le più varie in caso di rifiuto, ma ciascun dipendente in questi casi non può non privilegiare la propria coscienza per dire un “no” incondizionato a proposte truffaldine, che possono provocare conseguenze gravissime o addirittura irreparabili per le persone raggirate. Non ci si può rendere complici di un delitto!

Nel caso poi che alle minacce seguissero delle concrete indebite pressioni e ritorsioni, i dipendenti possono difendersi denunciando gli autori con nome e cognome senza timore e, se del caso, rivolgersi alla magistratura. Credo che una simile reazione avrebbe il salutare esito di contribuire a riportare il clima aziendale ad una sana normalità, a favore del dipendente che riconquisterebbe la sua dignità e pure del cliente, che vedrebbe privilegiato il suo reale interesse e non quello di chi specula a vantaggio dell’azienda o di se stesso. Nessuno, all’interno di una banca, dal presidente all’ultimo funzionario, può imporre atti contrari all’etica, come recitano anche i vari Codici Etici aziendali.

L’ultimo aspetto da trattare è quello del comportamento ipocrita tenuto dalla Banca d’Italia. Come già visto nel caso Monte, il governatore Visco, con riferimento alle quattro banche dissestate ripete – con quella autoreferenzialità spocchiosa propria di chi sa di appartenere al coacervo di quei poteri che tutto sottomettono ai propri interessi – che Bankit ha fatto tutto il possibile per evitare il peggio. A me sembra invece che Via Nazionale abbia qualche calo di vista o forse problemi di daltonismo: parrebbe non avvedersi delle marachelle compiute dalla banche colorate di rosso.

Prendete il caso della Banca popolare di Spoleto, commissariata nel 2013 e poi, dopo il tentativo di conquistarla da parte di una cordata rossa nella quale, accanto alla Coop. Centro Italia figurava pure il Monte, venduta alla Banca Desio. E’ una vicenda assai intricata e piena di colpi bassi, finanziari e giudiziari. Più di una voce accusa Bankit di avere voluto provocare, con un colpo di mano – il commissariamento per l’appunto – l’uscita coatta dei vecchi soci per favorire quella cordata (come riporta il Giornale del 25.03.2015). Fatto sta che Visco e altri sette funzionari risultano indagati, con riferimento a quella vicenda, per concorso in corruzione, abuso d’ufficio e truffa (il Giornale, 21.10.2015).

Bene, c’è qualcuno che mi possa spiegare perché il Monte dei Paschi di Siena non sia stato commissariato dalla Banca d’Italia non solo quando la stessa era venuta a conoscenza delle gravissime anomalie compiute dai suoi precedenti vertici nella folle acquisizione di Antonveneta,, ma nemmeno quando la sua situazione fallimentare è apparsa in tutta la sua drammaticità in seguito alle indagini giudiziarie successivamente intraprese? Forse che la situazione della Banca Popolare di Spoleto era peggiore di quella del Monte all’epoca? O forse, qualunque nefandezza fosse emersa, non si doveva sottrarre la Banca di Siena al partito che la controllava?

Come si può constatare, la storia si ripete, invariabilmente.

Cari clienti delle banche rosse, aprite finalmente gli occhi e guardate di non farvi truffare un’altra volta alle prossime elezioni.

Marco Sbarra

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