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Aurigi: “La Costituzione è … “populista”?”

Una lettura mirata fa scoprire un’inaspettata e totalizzante antipatia della Carta verso i partiti: i Padri costituzionali non furono grandi, furono grandissimi!

di Mauro Aurigi

 

Se volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra  Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì, o giovani, col pensiero perché lì è nata la nostra Costituzione.

(Piero Calamandrei, Padre costituente, in un discorso agli studenti del 25.1.1955)

SIENA. Il consenso popolare per i partiti è sceso quasi all’1% e i partitòcrati sono sgomenti anche per le incombenti, plurime verifiche elettorali. Insomma non c’è più trippa per gatti, come recita un antico detto popolare: la colossale abbuffata dell’ultimo mezzo secolo (il debito pubblico ha sfondato i 2.300 miliardi), più che alla frutta è arrivata all’ammazza-caffè ed è sempre più problematico arginare da una parte il crescente astensionismo e dall’altra l’avanzata dei “populismi”, per esorcizzare i quali non si trova altro argomento che ripetere come un mantra, sia a destra che a sinistra: “l’antipolitica è un salto nel buio: senza i partiti, non c’è democrazia”. Ma si tratta di una sostanziale frottola, frutto di ignoranza, ottusità o ipocrisia (o tutte e tre le cose insieme). Infatti è vero esattamente il contrario. E’ la democrazia che è necessaria ai partiti non viceversa: una democrazia senza partiti è ipotizzabile, ma i partiti senza democrazia no, perché senza democrazia c’è un partito solo, quello del tiranno. La democrazia, garantendo libertà di pensiero e di associazione, è la causa e i partiti sono l’effetto, non il contrario (e scambiare la causa con l’effetto non è il massimo dell’intelligenza).

LA PERICOLOSITA’ DI UN REGIME BASATO INTERAMENTE SUI PARTITI

Anzi, lungi dal rappresentare una garanzia, come pretenderebbero, i partiti invece rappresentano sempre una potenziale minaccia per la democrazia. Infatti non c’è partito che non aspiri a un consenso quanto più possibile vicino al 100% (si pensi a come spasimava Berlusconi davanti al totalitario consenso elettorale del bielorusso Lukashenko o del kasako Nazarbaev o degli altri contemporanei tiranni della ex-URSS). Insomma ogni partito nell’intimo punta all’eliminazione di tutti gli altri partiti, ossia al proprio dominio assoluto e quindi all’eliminazione della democrazia. E’ regolarmente successo innumerevoli volte nella storia e succede nell’attualità: bolscevismo, fascismo e nazismo – tanto per citare i casi più recenti e noti – e ogni regime dispotico attuale non furono e non sono la negazione del sistema dei partiti come solitamente si sostiene, ma la vittoria di un partito su tutti gli altri portata alle estreme conseguenze. Insomma i partiti semmai sono il problema, non la sua soluzione, come invece si tende a far credere.

Una lettura, anche meno che attenta, della nostra Costituzione induce a pensare che anche i Padri costituenti, ossia la migliore classe politica generata dal Paese dall’Unità in poi, fossero consci della potenziale pericolosità di un regime dominato dai propri partiti. E ciò nonostante che il bagno di sangue della Resistenza al nazi-fascismo, a quei partiti li avesse legati più che visceralmente. E avevano ragione a preoccuparsi visto che ancora oggi – e da anni ormai – i massimi organi legiferanti, in violazione della Costituzione, sono composti da personaggi non eletti dal popolo ma nominati dai segretari dei partiti stessi. Ed è cosa gravissima, che mina alle fondamenta il credo democratico che tutti a parole dicono di professare. Perché se è il Governo che controlla il Parlamento, ossia se si distrugge, rovesciandolo, il mito fondante della democrazia – i governanti controllati dai governati – siamo già in un regime tirannico. Solo così si può spiegare perché l’attuale crisi economica per noi non abbia fine, mentre i paesi a più alto livello di democraticità ne hanno sofferto meno o ne sono usciti prima. Perché è incontrovertibile che quanto più il potere si concentra in un numero minore di mani, ossia quanto più si riducono i livelli di democrazia di una comunità, tanto più se ne riducono non solo i valori etici (libertà, uguaglianza, giustizia, solidarietà ecc.) ma anche e ancora dipiù se ne riduce la prosperità. Questa è una regola che non ha eccezioni, né sul piano storico né su quello dell’attualità: basta un’occhiata anche distratta alla geopolitica del pianeta per accertarsene e per capire quanto sia importante il recupero e il mantenimento di un forte regime democratico nel nostro Paese. Sotto i regimi sono i popoli che fanno la fame, mentre le classi dirigenti si arricchiscono.

I PARTITI ITALIANI SONO INCOSTITUZIONALI? 

Ma quando si mette un politicante con le spalle al muro sui danni tremendi provocati dalla partitocrazia al Paese (il nostro iperbolico debito pubblico è il secondo del pianeta) per cui i partiti e i loro esponenti dovrebbero essere messi in condizioni di non nuocere ulteriormente, immancabilmente ci si sente replicare che i partiti sono espressamente previsti e garantiti dalla Costituzione. Non è vero. I Padri costituenti ossia, ripeto, la migliore classe politica che il nostro Stato unitario abbia mai avuto, si guardarono bene dal prevedere “espressamente” i partiti nella Costituzione. D’altra parte i principi della sovranità popolare e della libertà di riunione, associazione, pensiero e espressione – artt. 1, 17, 18 e 21 – erano e sono più che sufficienti a garantire la legittimità dei partiti anche senza che essi fossero espressamente citati nella Carta.

Per cui, nella sostanza, in tutto il testo della nostra Carta la parola “partiti” appare in maniera passabilmente positiva una sola volta in un brevissimo, icastico e eloquente art. 49: “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”. Quindi i cittadini possono (se vogliono, ma non è obbligatorio e forse, sembrerebbe di leggere, neanche consigliabile), organizzarsi in partiti per concorrere (i cittadini, non i partiti) con metodo democratico a determinare la politica nazionale. Insomma i Padri costituzionali dedicano ai partiti, quasi pudicamente, un solo minuscolo articolo su 157 e di appena 20 sole parole su 10.548.

Infatti l’altra sola citazione del termine “partiti” nella Costituzione è in negativo (e ciò sia detto a sostegno dell’ipotesi che i Padri costituenti comunque ravvisassero nei partiti una potenziale pericolosità): l’art. 98 infatti prevede che la legge possa proibire l’iscrizione ai partiti per militari, giudici, poliziotti ecc.

Infine il termine “partito” è citato una sola volta, e ancora una volta in negativo: divieto di ricostituzione del partito fascista (disposizioni transitorie e finali XII).

Dei partiti, della loro funzione, ruolo, utilità, necessità e, meno che mai, indispensabilità, non c’è altra traccia in tutto il testo della Carta, neanche per le elezioni o la formazione del governo. Né, ovviamente, c’è alcuna traccia dei loro capi o leader (termine quest’ultimo che allora si sapeva essere la traduzione letterale di führer e duce, oggi non più).

Ecco, quanto a “partiti espressamente previsti dalla Costituzione” non c’è davvero male.

MAGGIORANZE E MINORANZE NELLE ASSEMBLEE ELETTIVE

Un ulteriore segnale di quella che a questo punto dobbiamo chiamare malcelata idiosincrasia dei Padri costituenti per i partiti, almeno per quanto riguarda il loro “ruolo” costituzionale, lo troviamo nel significato che la Carta attribuisce ai termini “maggioranza/e”, “minoranza/e” e “opposizione/i”. Noi siamo abituati da tempo a usare questi termini come sinonimi distintivi, nelle assemblee elettive, tra il partito o i partiti che hanno vinto le elezioni (maggioranza/e), e quelli che le hanno perse (minoranza/e, opposizione/i). Niente di più errato.

Il termine “maggioranza” ricorre in tutto il testo della nostra Costituzione ben 21 volte, ma mai una volta che intenda riferirsi a partiti: tutte le volte al termine maggioranza fa seguito la precisazione “dei voti”, “degli aventi diritto”, “dei presenti”, “assoluta”, “dei 2/3”, o similari (ossia ci si riferisce sempre ed esclusivamente agli eletti del popolo, mai alla loro appartenenza partitica). Il termine “minoranze” ricorre solo due volte e con esclusivo riferimento alle minoranze linguistiche. Mentre sono del tutto assenti i termini “maggioranze”, “minoranza” e “opposizione/i”.

Forse una parzialissima eccezione viene fatta in relazione alla parola “gruppi”. Questo termine viene usato solo due volte e solo con riferimento alla costituzione di commissioni parlamentari, la cui composizione deve “rispecchiare la proporzione dei gruppi”. Quel “proporzione” potrebbe sottintendere la proporzione dei partiti presenti in Parlamento che però non vengono neanche nominati. Sembra, appunto che ci sia una forte riluttanza, quasi una vergogna, a nominarli. E non si può escludere che davvero pensassero a un Parlamento dove i partiti non avessero potere, per cui i gruppi avrebbero dovuto formarsi spontaneamente tra gli eletti senza tener conto dell’appartenenza partitica.

Tuttavia il succo della questione è questo: i Padri costituenti volevano assicurarsi che gli eletti nelle assemblee parlamentari (e per analogia, visto che la Costituzione è la legge fondamentale della Repubblica, anche in quelle regionali, provinciali e comunali), quali che fossero le loro inclinazioni politico-culturali, si sentissero esclusivamente rappresentanti del Popolo, non dei partiti. Da qui anche la formulazione, con l’abituale secchezza e perentorietà, dello scarno art. 67, composto di una sola riga: “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”. Senza vincolo di mandato! Ossia liberi di votare e schierarsi come meglio dettasse loro la propria coscienza.

Non furono grandi i Padri costituenti: furono grandissimi.

CONCLUSIONI

La Costituzione è un documento politico al 100%, ma dedica solo lo 0,2% ai partiti, i quali invece hanno occupato anche tutti gli altri 156 articoli, ossia il 100% della politica nazionale, sottraendola al Popolo che invece avrebbe dovuto essere sovrano, ossia sopra i partiti. La nostra Carta non prevede né consente l’attuale presenza alluvionale e autoritaria dei partiti e quindi di coloro che ne hanno assunto il controllo (i leader). Paradossalmente i partiti organizzano appena l’1% degli elettori – ormai più per motivi clientelari che ideali – costringendo per giunta quel 99% della popolazione che sta fuori dai (contro?) partiti a pagare i costi della loro vorace, onnivora, macchinosa, dispendiosa e spesso criminale, esistenza. Dunque quei partiti (e i loro leader) sono fuori dalla Costituzione: sono incostituzionali. Almeno fino a quando essi non riusciranno ad emendare appositamente la Costituzione, che non è solo una mera, minacciosa ipotesi. Si veda la riforma costituzionale e la collegata legge di riforma elettorale votate con la formula della fiducia al governo – per giunta da un Parlamento già dichiarato incostituzionale dalla Corte costituzionale – ma asfaltate ambedue dal referendum popolare del 4 dicembre 2016. Ed ora un altro referendum si renderà necessario, perché neanche 10 mesi dopo ci hanno riprovato ancora una volta a suon di votazioni di fiducia al governo.

Per concludere: sono loro, i partiti, l’antipolitica. La vera politica è quella che vuole da una parte la loro eliminazione come sistema, ossia la loro riduzione a semplici e liberi movimenti di opinione rigorosamente autofinanziati dagli aderenti, e dall’altra la restituzione della sovranità al Popolo.

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