Fioccano le indiscrezioni ma la Procura di Siena non parla
di Red
SIENA. L’avviso si può leggere sulla porta della Procura di Siena: “Il procuratore e i sostituti procuratori non rilasceranno dichiarazioni in relazione alle indagini in corso sulla vicenda Banca Mps”. Comunque qualcosa trapela e l’approfondirsi dell’indagine – oltre alle rivelazioni di questi giorni e alle ammissioni del Tandem – fa ritenere che abbia preso corpo un’ipotesi di reato per “appropriazione indebita e falso in bilancio”. Ci sarebbero anche persone iscritte nel registro degli indagati.La Magistratura non aveva bisogno delle denunce di Viola, Profumo e Mancini per entrare in azione: oggi il Corriere della Sera informa che, dopo la Procura di Siena che si avvale della Guardia di Finanza di Siena e Roma, anche la Procura di Milano avrebbe “autonomamente” aperto un fascicolo “sul derivato Alexandria, affidato al pm Giordano Baggio per appropriazione indebita e truffa da parte di alcuni funzionari della banca: l’ipotesi è che vi siano state retrocessioni, ovvero presunti «premi» in denaro a manager Mps per aver realizzato l’operazione. Poche settimane fa il fascicolo è stato però spedito per competenza a Siena, dove s’è unito agli altri faldoni. In sostanza si ipotizzano tangenti”. Profumo ieri all’Assemblea straordinaria si è sbilanciato dicendo che tutti i cassetti sono stati aperti, quindi il tempo delle sorprese dovrebbe essere finito. Ma con 27 miliardi di titoli di Stato raccolti in poco tempo, spazi per creare tangenti se ne trovano infiniti.
Il Corriere della Sera avrebbe avuto accesso ai verbali del CdA del 2009 in cui “non emergono («almeno ufficialmente», sottolinea un inquirente) discussioni sui derivati. Da essi emerge piuttosto una preoccupazione crescente sul carico enorme di titoli di Stato italiani in portafoglio e sui vincoli allo smobilizzo, che li rendevano di fatto indisponibili, se non a rischio di forti perdite. Il dibattito si intensificò in consiglio a partire da settembre 2011, quando era già esplosa la crisi del debito sovrano e poi con la richiesta di 3 miliardi da parte dell’Eba, l’autorità bancaria europea. A premere per un riequilibrio del portafoglio furono soprattutto Francesco Gaetano Caltagirone («Vanno presi provvedimenti al fine di alleggerire queste posizioni») e Frederic De Cortois (Axa), appoggiati da alcuni consiglieri come Ernesto Rabizzi o Alfredo Monaci”. Quest’ultima affermazione rivaluterebbe in parte l’opera di Monaci, che tante critiche ha acceso nei confronti di Mario Monti, che l’ha candidato al Parlamento, rendendolo meno organico a quel PD che in quella poltrona ce l’aveva messo e che appena un anno fa era ritenuto tra i papabile a prendere il posto di Gabriello Mancini al vertice della Fondazione (ma era un altro mondo e la separazione in atto tra Ceccuzzi e componente ex Margherita senese doveva ancora uscire allo scoperto).
Oggi Il Giornale affronta la vecchia storia dell’affare Vim ovvero Valorizzazioni Immobiliari, nato nel 2008 tra MPS, Fondazione e Lehmann Brothers, la banca americana che da lì a poco sarebbe fallita, facendo emergere l’iceberg della crisi da derivati che stiamo ancora vivendo. S’era dato conto dei 188 immobili di Monte dei Paschi, in un articolo dello scorso 17 ottobre (https://www.ilcittadinoonline.it/news/153411/MPS_e_l_affare_immobiliare_con_Lehman_Brothers.html), un’operazione infragruppo con una banca già in stato fallimentare utile ad abbellire artificialmente i conti scricchiolanti di Rocca Salimbeni. Il giornalista si chiede se al Monte si rendessero conto di fare un affare con una banca fallita, e cita una sentenza del tribunale di Salerno che Mussari, Vigni & C. non potevano non sapere ciò che era già di pubblico dominio, viste le condizioni pietose in cui versava LB. Eppure “è stato dato disco verde all’operazione Vim così come è stata autorizzata la transazione con la banca giapponese Nomura che al suo interno vanta numerosi analisti marchiati Lehmann Brothers. Siena non è Wall Street. E Mps non è «too big to fail», conclude il giornalista.
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