Fine del bluff: si dovrà giocare a carte scoperte

di Red
SIENA. 2008-2016: il cerchio si chiude. Con gli stessi attori, con gli stessi passaggi formali, con la stessa ipocrisia collettiva. Nel 2008 Mediobanca (per conto di MPS) e JP Morgan (per conto della Fondazione), assieme al presidente della Banca d’Italia di allora, Mario Draghi, furono gli artefici e i garanti della grande operazione Antonveneta/Santander.
Nel 2016 Mediobanca e JP Morgan sono i capitani della cordata che garantirà i 5 miliardi dell’aumento di capitale presentato in questi giorni, sotto la supervisione di Mario Draghi, che alla Banca d’Italia ha sostituito la guida della BCE. E con la stessa stampa che allora esaltava “lo straordinario successo” dell’acquisto Antonveneta e oggi plaude al “salvataggio del Monte”. Possiamo fidarci?
Adesso sappiamo che codesti personaggi e istituzioni non sapevano oppure, mentendo, avrebbero fatto finta di non sapere che Antonveneta, oltre che essere una operazione in perdita foraggiatrice di chissà quali interessi trasversali, era un’operazione di maquillage per coprire i conti economici di Rocca Salimbeni, che affondavano già sotto il peso di Alexandria e dei prestiti insolventi che non venivamo mai passati nel conto perdite – obbligatoria operazione contabile che avrebbe schiacciato la banca e distrutto un sistema di potere.
“Su Mps non prendiamoci in giro: le responsabilità di una parte politica della sinistra, romana e senese, sono enormi”, dice oggi il presidente del Consiglio Renzi, con affermazioni che ad altri sono costate minacce e querele.
Sappiamo poi che sono stati fatti passare anni, fino a dicembre 2011, permettendo altre distruttive operazioni del solito maquillage, finanziate con l’acquiescenza di chi, pensando alla grandeur di Mussari, Cenni & C., si faceva comprare con le elargizioni a fondo perduto della Fondazione MontePaschi. E permettendo al suo presidente di rimanere in carica anche oltre il consentito, per sistemare le carte e accorciare le prescrizioni, con la scusa di mettere in sicurezza l’ente, modificando lo statuto. Che poi – da come ha svolto bene il compitino – è stato cambiato altre due volte! Fulminato sulla via di Monteriggioni, dall’ottobre 2014 il presidente della Regione Toscana Rossi si è iscritto al partito di cui siamo alfieri, quello della nazionalizzazione della banca. Argomento tirato fuori anche ieri, e stavolta accompagnato da iniziative concrete: “Chiedo di conoscere i primi cento nomi di chi ha usufruito dei crediti facili, solo così si può chiarire la trama di un capitalismo parassitario, quello sì da rottamare”. “Il 70% dei crediti deteriorati in pancia alla banca riguarda le grandi imprese. Non piccoli artigiani, non le famiglie – aggiunge Rossi -. Non sono loro ad aver portato la banca a questo punto. Per questo chiedo di conoscere i nomi” e “insisterò, proprio perché dobbiamo voltare pagina”. Lodevole, ma è troppo tardi: con tutti gli anni avuti a disposizione e con gli obblighi contabili decennali ormai le posizioni che hanno generato il vortice negativo certo non si potranno più riconoscere. Forse con un lavoro certosino negli archivi dei Tribunali, che sarà oggetto delle tesi di laurea fra cinquant’anni. Grazie, presidente. Anzi, grazie presidenti: perché dopo l’affermazione di principio contro una certa sinistra romana – immaginiamo tutta all’opposizione interna (il che sa quasi di state buoni, sennò vi sistemo a dovere) – sperare che Renzi dia poteri speciali a un magistrato per interrogare personaggi e spulciare le carte che potrebbero far risalire alle vere responsabilità della gestione della banca, è un’utopia.