di Paola Dei
SIENA. Quentin Tarantino torna a spaccare il pubblico con il suo ottavo film dal titolo: The hateful eight, una carrellata di 167 minuti su improbabili personaggi calata nel genere western. Al cinema Odeon di Siena, con Samuel L. Jackson, Kurt Russel, Jennifer Jason Leight, Walton Goggins, Demian Bichir, Tim Roth, distribuito in Italia da 01 distribution, il film presenta due polarità intrinseche che sembrano conciliarsi sempre molto bene nei film del regista: quella del fumetto e quella di una realtà contaminata da pregiudizi, odi razziali, inganni, sfruttamenti, identità negate o nascoste. Il genere western appare soltanto come pretesto per mostrarci primissimi piani, campi e controcampi, riprese di quinta di personaggi che non sono quello che dicono di essere e che nascondono verità persino a se stessi.
Un film senza una storia, che travolge con il mix di violenza e grottesco e che ibrida il cinema degli sguardi al cinema post moderno. Tutto inizia con l’immagine di un Cristo in croce in mezzo ad una vallata di neve che ci viene mostrato lentamente fra i sentieri rocciosi del Wyoming, dove una diligenza viaggia a gran carriera diretta a Red Rock, trasportando Daisy Domergue, una predestinata alla forca prigioniera di John Ruth, cacciatore di taglie che crede ancora nella giustizia ma non più negli uomini. “La giustizia deve essere senza passione, se c’é passione, non é più giustizia!” fa dire Tarantino ad uno dei suoi personaggi in cerca di autore, sospesi fra l’incertezza della loro surrealtà e la certezza di dover trovare un luogo dove ripararsi dalla bufera di neve che ha travolto la vallata.
La diligenza si ferma più volte raccogliendo altri due uomini, il Maggiore Marquis Warren, diligence stopper e cacciatore di taglie nero che ha servito la causa dell’Unione e Chris Mannix, un sudista rinnegato e promosso sceriffo di Red Rock, per poi giungere all’Emporio di Minnie dove é possibile riscaldarsi con un buon caffè ed una zuppa calda.
Qui il maggiore Marquis Warren interpretato da un magistrale Samuel L. Jackson, nero alla caccia dei bianchi che a loro volta hanno ucciso neri macchiandosi di crimini razziali, é il primo a rendersi conto che qualcosa non va ed é anche il primo a premere il grilletto dentro all’Emporio che ripreso con la macchina a grandangolo appare molto più grande di quanto in realtà non sia e glorifica lo spazio orizzontale, espediente che permette di visualizzare meglio le mosse di ciascun un personaggio e lentamente coinvolge lo spettatore in un clima di totale paranoia.
Il puzzle degli avvenimenti si ricostruisce, mentre gli spazi e i tempi scandiscono quella che nella cinematografia di Tarantino costituisce la cifra espressiva, ben diversa da quella usata da Spielberg per metter in luce le tematiche della giustizia e del potere e che rievoca Django nelle prime scene o Bastardi senza gloria nell’evoluzione della narrazione. Le riprese sui cavalli al rallenty che mettono in evidenza narici fumanti e gambe agili che si muovono sulla neve ricordano efficacemente i poemi epici e, accanto alle riprese del Cristo scolpito, e all’Emporio di Mennie in grandangolo, rappresentano i momenti più espressivi del film mentre la lettera di Lincoln nelle tasche del cacciatore di taglie nero appare come un espediente narrativo di grande efficacia. Le musiche di Morricone arricchiscono in maniera insolita i vari momenti del film. Il regista conferma la sua capacità registica allontanandosi sempre più dalla parte autoriale e narrativa.