La presentazione della mostra che verrà inaugurata ai Magazzini del Sale, firmata da Mauro Civai
SIENA. Può sembrare incredibile ma Siena (e i senesi) intrattengono un maggior numero di rapporti con il resto del mondo piuttosto che con le città toscane e italiane.
E’ noto come a Avignone e anche nel resto della Francia Siena sia considerata la più francese fra le città italiane, connotazione dovuta alla antica frequentazione da parte degli operatori commerciali e finanziari senesi dei mercati d’oltralpe.
O quanto gli inglesi abbiamo profondamente amato la nostra arte, sublimemente primitiva e un po’ demodé, refrattaria ad assimilare subito le novità, nel timore che potessero inficiare una perfezione formale difficilmente raggiunta.
E poi quanto gli scrittori americani abbiano apprezzato di intrigarsi nei recessi della nostra antica civiltà in cerca di quella linfa capace di alimentare ancora radici lunghe e ramificate, loro che sono così poveri di linfa e di radici.
Questa capacità tutta senese di parlare col mondo ci rimane difficile da razionalizzare tanto la consideriamo scontata e inserita pienamente nel nostro DNA.
Ho lavorato molto su quello che gli artisti di ogni parte del globo vengono a cercare e comunque trovano in Terra di Siena, che guarda caso è il anche il nome di uno dei colori più versatili e naturali. Ho scoperto (ma non era difficile) che la nostra terra in ognuno di loro ha lasciato una traccia indelebile e che i più hanno, anche profondamente, cambiato il loro percorso di vita una volta venuti in contatto con Siena.
La mostra che si inaugura in questi giorni ai Magazzini del Sale – SIENA NEW YORK .Quattro artisti in viaggio – con le opere di Balocchi, Grazi, Mazzieri e Tetkowski, cerca di ricostruire questo itinerario, ma percorrendolo al contrario: partendo cioè dalla consapevolezza di un’esperienza, lunga ormai mezzo secolo, che ha visto la presenza a Siena di studenti americani, per lo più provenienti da Buffalo, in cerca di un contatto che potesse accendere in loro più viva la suggestione del passato. Da queste occasioni Balocchi, Grazi, Mazzieri e Tetkowski trovano il filo di un linguaggio universale, ma dai contorni definiti ben bene all’interno della gabbia dorata dell’armonia, che consente, appunto, al suo interno piena libertà, ma nessuna concessione al banale e al volgare, mossa com’è da un’aspirazione costante e inesausta di perfezione.
Un ponte leggerissimo ma smisurato, lucente come la coda di una cometa, si sviluppa così dalla nostra terra fino a un paese lontanissimo, a metropoli fin troppo diverse da Siena, alimentato però da un’esperienza a lungo maturata e condivisa, intessuta di lavoro impegnativo ma sereno.
Si sviluppa un confronto che poggia su basi culturali solidissime perché sviluppate intorno alla sintesi di saperi e sensibilità diverse, ma si sa – e Leonardo amava ripeterlo – non vi può essere perfezione senza ibridazione e contaminazione tra differenze.