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Direttore responsabile Raffaella Zelia Ruscitto
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Rozzi: un Micat in vertice di Carnevale a suon di Walzer

di Gianni Basi
SIENA. Un Carnevale al Walzer, per il Micat in Vertice di venerdi 20 al Teatro dei Rozzi, col sipario che si alzerà sul “Vorrei danzar… gran galà delle operette viennesi” alle ore 21. Altro che sambe e trenini. Negli anni ‘60 e ‘70 del 1800, in piena Belle èpoque, non c’era festa in cui questo tre quarti cadenzato, fratello maggiore del conturbante “allacciamoci nel tango” sudamericano, non esprimesse nel lento suoni sensuali e malinconici e nel veloce gioia vorticosa. Coppie strette in amori trovati o perduti, magari in compagnia di una coppa di champagne e poi, nelle pampas, masticando una rosa. Favolosi anni, quelli, come i nostri quando si cominciò a cantare Battisti col suo “mi ritorni in mente bella come sei”. E già. In tutta l’Austria il tormentone del “Pipistrello” era un po’ il contrario: “felice chi dimentica ciò che non si può mutar”. Un pizzico di realismo in più, forse, da parte del suo autore, l’idolo incontrastato del momento, ovvero Johann Strauss figlio. La sua popolarità varcò presto i confini europei.
Si narra che a Boston, al Giubileo delle Nazioni del 1872, “Sul bel Danubio blu” venne suonato da un’orchestra smisurata (20 mila orchestrali?, o fu tutto un sogno?) davanti a centomila persone irrefrenabilmente danzanti. Questa frenesia incontenibile, contagiosa, che esulava dai canoni compositivi sino ad allora conosciuti, e indispettiva i benpensanti, era nient’altro che sua maestà “il Walzer”. Stile musicale sempreverde, l’unico che, nel classico, può fregiarsi di un’etichetta così tanto riconoscibile di primo acchito, pari solo all’onda rock che ha perpetuato nel tempo gli scuotimenti pelvici di Elvis Presley.
Tutto cominciò sul finire del ‘700. Sulle incomparabili montagne bavaresi e tirolesi, goderecce di birra e di crauti, dei paffuti contadini, patiti per i loro canti accompagnati da balli improvvisati, i cosiddetti Ländler, pensarono di danzare non più soli come matti (cosa che tutto il mondo aveva fatto sino ad allora) ma abbracciati con grazia alle loro dame. Che quanto fosse bello non pareva vero. Quel mondo ne restò turbato e incantato allo stesso tempo. Al che si cominciò in ogni dove a “fare wälzen”, dunque girare, girare e volteggiare in coppia, in moto perpetuo, e tutti si dissero assai lieti di farlo sino a che la novità, favorita da quel “wälzen” che si fuse col provenzale “voltér” dall’omonimo significato, diventò universalmente “Walzer”. Una musica che tirava, trascinava. Tanto che ne scrissero compositori autorevoli, dai Lenner ai Debussy, Chopin, Brahms, Berlioz e, in Italia, non si può non ricordare Giuseppe Pietri e soprattutto Virgilio Ranzati, quello dell’arcinoto “Paese dei Campanelli”. Ma, i più grandi di tutti, furono gli Strauss. Anzi, la premiata famiglia Strauss.
In realtà, tra un Walzer e l’altro, stavano sempre a litigare. Gareggiavano in protagonismo, prendendo dal fiero padre Johann Sebastian. E da questa gara nascevano danze su danze, molte di Johann, altre dei fratelli Joseph e Eduard, e spesso i tre si dividevano a dirigere in orchestrine che nel pomeriggio suonavano a Vienna, la sera a Monaco e l’indomani a Parigi. Tour da carrozza e cavalli boccheggianti, ma sempre tour. Pian piano capitò che, su consiglio dell’estasiato Offenbach, Johann si convinse ad arricchire le sue musiche col canto, e nacquero operette incomparabili, un put-pourri di farsa, equivoci e romanticherie. Le vere antesignane del musical del ‘900. Al Teatro dei Rozzi, oltre ai Walzer di Strauss, verranno eseguite pagine memorabili di Franz Lehár, Robert Stolz, ed Emmerich Kálmán. Un quartetto coi controfiocchi. Di Strauss, subito all’inizio tanto per non farci soffrire nell’attesa, i brani più esaltanti dal favoloso “Pipistrello”. Poi quelli dal “Fazzoletto di pizzo della Regina”, dallo “Zingaro barone” e dall’ultima sua operetta “Sangue viennese”.
Di seguito toccherà a Lehár, anche lui in forma smagliante coi ritornelli da “La vedova allegra”, quindi “Il paese del sorriso” e infine una “Eva” poco nota ma di un dolce che non vi dico: ondate al rallenti, giusto per scavare nel cuore, e poi passi veloci di festa e di vita. Ci si vede dentro Charlot. Di Robert Stolz, uno struggente e si suppone anche un tantino… faticoso “Amo tutte le donne” (suoi, se lo ricordate, i più bei Walzer dal “Cavallino bianco”) e, in chiusura, due arie misto caucasiche di Emmerich Kálmán tratte da “La contessa Mariza” e da “La principessa della czarda”. Valzer non solo zingari, anzi, specie nel primo, tanta epopea russa che sa quando di Tcaikowskij e quando di steppe cosacche. Per dirla tutta, un concertone.
L’Orchestra della Toscana, una formazione di 45 elementi che è sempre più accreditata per la sua duttilità al punto che il Süddeutsche Zeitung ne vanta la grande levatura e parla di “versatilità impeccabile nel suonare tanto il barocco che il moderno”, avrà il compito di reggere una valanga di Walzer che mai prima aveva invaso così febbrilmente Siena. Giovani, vedete di non mancare a questo elogio del Walzer, e che se ne rammenti soprattutto chi ha in tasca l’abbonamento promozionale.
A dirigere, un veterano di Walzer e affini, il purosangue viennese Peter Guth. Violinista di scuola David Oistrack, fondatore nel ‘78 dello Strauss Wien Festival e alla guida dell’Orchestra di San Pietroburgo dal 2007, il direttore è riconosciuto, con Christian Thielemann, miglior bacchetta assoluta per Strauss. Al canto, due voci di prestigio della Volksoper di Vienna: la soprano Monika Rebholz e il tenore Joachim Moser. La prima, interprete eccezionale anche nel melodramma, con nel carnet Il flauto magico, La Boheme e la Carmen, e regolari collaborazioni con grandi orchestre europee assieme agli  allestimenti concertistici delle Staatsoper di Stoccarda e Hannover. Il secondo, studi e diploma al conservatorio “Schubert” di Vienna, alterna i ruoli dell’operetta con talentuose performances d’opera e nel sacro, in particolare nel Rigoletto e nell’oratorio di Mendelssohn, ma si concede spesso anche alla leggerezza del musical. Si preannuncia travolgente, al passo delle tradizionali arie viennesi, questa serata di “carneval danzante” al Teatro dei Rozzi. Le voci saranno prigioniere del ritmo e di quel particolare turbinio strumentale che solo il valzer sa rendere, di cui per primi gli Strauss seppero dare la scossa giusta. Poco importa se, questo nome, per noi persino altisonante, nella loro lingua significhi “struzzo”. Non c’è struzzo più amato, dagli austriaci, perchè -a detta di un nostro simpatico amico di Graz- “lui portare testa alta in Olimpo di classico, nein in sabbia!”.
Ultimi biglietti disponibili, ai botteghini chigiani (giovedì ore 16/18,30) e del Teatro dei Rozzi (venerdi a partire dalle ore 16), e ricordate che per quanto se ne avrà voglia è assolutamente vietato mettersi a ballare (anche da soli).
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