Ai Rinnovati pubblico divertito e numeroso
di Giulia Tacchetti
SIENA. La terza replica di domenica (19 marzo) vede un teatro gremito da un pubblico di tutte le età, che ride e si diverte senza sosta nelle due ore di spettacolo. “La Scuola” di Domenico Starnone nasce nel 1992 come pièce teatrale, poi nel 1995 diventa un successo cinematografico. Gli attori sono sempre gli stessi con qualche variazione, così il regista Daniele Luchetti.
La rappresentazione è una radiografia del mondo scolastico degli anni ’90 durante la riunione dei docenti della IV D per procedere allo scrutinio della classe. Assistiamo così allo scontro tra mondi etici e culturali, quindi anche politici, differenti, che portano a modi diversi di intendere la scuola e quindi di insegnare. Non a caso l’articolo determinativo “la” del titolo vuole indicare la situazione in cui si trovano tutte le scuole di quegli anni, situazione che a distanza di tempo non si è modificata (anche negli edifici cadenti) visti i continui scioperi degli insegnanti contro le riforme introdotte dalla “Buona Scuola” di Renzi. In mezzo a terribili pettegolezzi, amori che nascono e muoiono nel tempo di una gita scolastica, assistiamo a tutta una casistica di professori: i frustrati e di conseguenza arrabbiati che vogliono bocciare, come il professore di francese Mortillaro (R. Nobile) che va dicendo in continuazione “La cultura non è per tutti. C’è anche la zappa…” ; gli annoiati, quelli che delusi hanno tirato “i remi in barca” o quelli che svolgono il doppio lavoro, come l’ingegnere Cirrotta (A. Petrocelli), professore di Impiantisca detto “termosifone”, che ama flirtare con le alunne; il preside, oggi chiamato “dirigente”, di scarsa cultura, preoccupato di non bocciare troppi alunni per non ricevere critiche forti da parte dei genitori, ma anche dei giornali.
Caricature ed estremizzazioni rendono lo spettacolo comico, leggero suscitando le risate del pubblico. A noi sembra più opportuno usare l’espressione tragicomico, perché non nasconde la profondità dei temi trattati. Infatti, mantenendo le tre unità di tempo, lo scrittore ed il regista affrontano e mettono in scena un problema che oggi è diventato ancora più grave: l’istruzione ed il ruolo della scuola nella società odierna. Gli alunni non appaiono mai, ma il testo li fa emergere in tutta la loro complessità adolescenziale. L’allievo Cardini polarizza la discussione che si accende con toni anche offensivi tra gli insegnanti che lo vogliono bocciare o salvare. Il ragazzo presenta disturbi comportamentali, tanto che la sua migliore espressione è il verso della mosca, cosa che introduce una sfumatura kafkiana. Questo è un momento in cui lo spettacolo ferma la risata con Silvio Orlando (eccezionale nel ruolo del professore di Lettere Cozzolino), appeso ad una corda, che sale verso l’alto imitando il volo ed il ronzio della mosca e poi scende andando a sbattere contro un banco. Non tutti i professori sono d’accordo nel leggere in questa performance una richiesta di aiuto, anzi scaturisce una protesta ”Se non si boccia Cardini, chi si boccia?”, viste le numerose insufficienze. Ed infatti viene bocciato in uno scrutinio che sembra surreale, ma spesso risponde alla realtà. I quattro diventano sei, i cinque rimangono tali attraverso una serie di considerazioni che non sempre sono chiare.
In questi momenti nasce una forte riflessione e ci chiediamo: perché lo Stato italiano non investe nella cultura? Perché ha tolto l’autorevolezza ai docenti ed ha introdotto la logica di fare lavorare tutti a poco prezzo, mantenendo un precariato a “vita”.