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Siena e i senesi nella Divina Commedia

Ovvero della Battaglia di Colle e della morte di Provenzano Salvani

di Augusto Codogno

SIENA. (seconda parte) Ci eravamo lasciati con alcuni personaggi come Ghino di Tacco, con la promessa di continuare a descrivere uomini, donne e situazioni riguardanti Siena nella Divina Commedia. Per i più distratti è sempre possibile rileggersi il precedente articolo cliccando su “Cronache del Medioevo”. I legami di Dante Alighieri con Siena furono numerosi, tanto che vi abitò per alcuni mesi, vi studiò e vi fece studiare suo figlio Pietro. Sappiamo anche dal Boccaccio e da altre fonti, delle sue frequentazioni e delle sue amicizie con diversi nostri concittadini, nonché dei suoi scambi epistolari con Cecco Angiolieri. La Divina Commedia poi, è una fonte colma di riferimenti alla nostra città (oltre venti) che continuerò in questa sezione ad illustrarvi.

Tra le tante citazioni vi è quella di “FONTEBRANDA” (Inferno, canto 30-verso 76), che sembra essere stata molto familiare al poeta, ma anche quella di PROVENZANO SALVANI, cittadino senese che da Dante viene appellato come “Sire” che significa “Signore”. A lui infatti il Comune di Siena assegnò i Castelli di Monteguidi, Radicondoli e Belforte. Egli era stato uno degli eroi della Battaglia di Monteaperti (1260) ed aveva poi raggiunto un enorme potere a Siena, grazie anche all’ amicizia personale che aveva con Manfredi di Svevia. La sua potenza finisce nel 1269, quando muore nella Battaglia di Colle e la sua testa viene portata in città sopra la punta di una lancia. Il suo nome era in Toscana divenuto una leggenda e quindi, dopo il 1269, i Guelfi cercano di cancellarne la memoria. I Salvani, avevano in città, alcuni palazzi contigui alla Chiesa di San Cristoforo, i quali giravano in Piazza Tolomei e si estendevano verso quello che oggi chiamiamo Provenzano. Infatti verso il 1271, i guelfi provvederanno alla distruzione dei beni dei suoi figli ed eredi: “Et Juro ego Potestas, infra unum mensem postquam juravero et venero ad regimen civitatis, destruere et destrui facere radici bus Palatium et Turrim et Casamentum filiorum Salvani, et filiorum Provenzani, quibus ex uno latere est heredum Ugolini Scarlacte et Mini Pieri, et ante strata, et retro Via et Turrim et Palatium filiorum Guinisii”.

La stessa “BATTAGLIA DI COLLE” (Val d’Elsa naturalmente), dove muore il Salvani e capitolano i Ghibellini contro la rivale e Guelfa Firenze, viene citata da Dante nella Commedia. Ma le cronache e le notizie su questa battaglia sono numerosissime. Dal Cartulario del Duomo abbiamo la conferma che questo scontro fu assai cruento: “Afflicti et fugati sunt Senenses apud Castrum de Colle Valdeselse, a militibus domini Caruli regis Sicilie, nec non a Florentinis et exititiis senensibus, in quo conflictu perierunt aut sunt capti ex parte senensium ultra mille nomine”.

Dante cita anche una donna, le cui vicende si possono collocare sempre nel contesto della battaglia di Colle ed il cui nome era legato alla nostra città: SAPIA. Ella, dopo aver assistito alla disfatta dei Senesi, ne gioisce per invidia, nonostante fossero suoi concittadini e come scrive Dante: “ era lieta più del male altrui, che del ben proprio…”.

PIER PETTIGNANO, citato dal poeta assieme a Sapia, è quello che salva la stessa dall’ Inferno al quale era destinata. Sappiamo poco di lui, se non che morì nel 1289 ed il Comune di Siena gli fece fare un sepolcro nella chiesa di San Francesco.

Un’altra importantissima citazione di Dante riguarda “LA DIANA” ed i senesi considerati “gente vana” in quanto dediti ed impegnati nella sua ricerca, che non era altro che una leggenda. Si credeva che sotto a Siena vi fosse una Fonte d’acqua, la Diana appunto, e questa credenza popolare era talmente diffusa che ancora oggi se ne parla. Nella realtà, il bisogno di trovare acqua nel sottosuolo della nostra città, fu prioritario nei secoli passati perché Siena ne era carente e, dopo il 1200, con l’aumentare della popolazione, divenne un fattore di debolezza (anche in caso di assedio) al quale occorreva porre rimedio. Probabilmente Dante vide, o venne a sapere, di alcuni importanti scavi commissionati dal nostro Comune, che avevano l’obiettivo di trovare una o più vene sotterranee per il fabbisogno dei cittadini e che nei primi anni furono costellati da insuccessi. Vennero infatti scavati, nel corso del tempo, diversi pozzi, partendo dal Piano dei Mantellini e si stima che il primo fu quello dei Frati del Carmine, poi, successivamente, dentro allo Spedale S. Maria della Scala. Molti tentativi andarono a vuoto, ma alla fine la vena fu trovata. Da allora si parla infatti di una notevole diminuzione della portata d’acqua del torrente Tressa, al quale probabilmente venne a mancare l’affluenza di quella sottratta a monte dai senesi e dai loro nuovi pozzi.

Altra importante e blasonata citazione della Divina Commedia riguardante Siena ed i senesi, è quella di “PIA DE’ TOLOMEI”. Molti studi sono stati fatti sulla figura di questa nobildonna senese ed ancora la precisa verità non è venuta fuori. Secondo Dante, la Pia fu uccisa dal secondo marito, Nello Pannocchieschi, ma non è certo se per gelosia o perché lo stesso aveva una nuova amante.

Fatto sta che Pia de’ Tolomei, vedova, sposa il nobiluomo della casata Pannocchieschi in seconde nozze e va a vivere in un suo castello. Nello aveva diversi possedimenti in Val di Merse e Maremma, ma la sua residenza (e quella della Pia) sembra essere stata Castel di Pietra, non lontano da Rosia. Sulla figura di Pia, molti studiosi sembrano convergere su Pia dei Guastelloni, che sposò in prime nozze Baldo Tolomei e ne rimase vedova. Su questa Pia, sappiamo diverse cose, ma la più importante è che nel 1290 rimane vedova e il Tribunale dei Pupilli di Siena gli affida, con il benestare di Stricca Tolomei, cugino del marito, i due figli Andrea e Balduccia. Ci sono molti documenti redatti dalla stessa, in cui lei deve dare giustificazione delle spese sostenute per i figli ed un elenco delle proprietà che passeranno poi, quando saranno cresciuti, ai ragazzi, eredi legittimi dei molti possedimenti. Tra i beni immobili elencati da Pia Guastelloni Tolomei, un Palazzo a Siena in Camporegio (probabilmente l’attuale Palazzo Tolomei dove è posta una lapide a memoria), ma anche case, poderi, capanne e terreni a Sovicille e Monteroni d’Arbia. Un recente approfondimento ha permesso di individuare, poiché è tuttoggi esistente con lo stesso nome ed i confini corrispondono esattamente a quelli citati nell’ atto, nel Podere Poggiarello (al tempo “Poggiarellum”), presso Monteroni, quello posseduto al tempo dalla famiglia.

La citazione più famosa che riguarda la nostra città, rimane però quella sulla “BATTAGLIA di MONTAPERTI”, avvenuta storicamente nel 1260 e della quale vi illustreremo nel prossimo articolo della rubrica, poiché fu talmente importante ed abbiamo una tale documentazione, da dovergli dedicare una puntata esclusiva.

A presto con “La Battaglia di Montaperti”.

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