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Il maiale, il fuoco e la campanella

I "Cavalieri del fuoco sacro" a Siena: un ordine poco conosciuto

di Augusto Codogno

SIENA. Forse molti di voi non conoscono la storia dell’ Ordine di Sant’Antonio da Vienne, nato in Francia nella omondiima città (da non confondere con la Vienna austriaca) ed anch’esso presente per alcuni secoli anche nella nostra Siena.

Breve Storia dell’ordine di S. Antonio da Vienne

La storia di quest’Ordine inizia nella Francia del XII secolo con la costruzione di una chiesa ed un ospedale ad opera di due gentiluomini: Gastone e Gherardo, padre e figlio. Tutto questo sembra essere accaduto intorno al 1120, ma secondo altri intorno al 1195, quando queste due persone riuscirono miracolosamente a guarire da una brutta malattia e, per ringraziamento cominciarono la costruzione sopradetta. Il luogo dell’accadimento si chiamava S. Desiderio della Motta, nella diocesi di Vienne e l’epidemia era chiamata “fuoco sacro” o “fuoco infernale”. Ai primi spedalieri laici si aggiunsero molti altri attorno alla chiesa ed all’ospedale e per officiare il culto vennero inizialmente chiamati in causa i monaci benedettini di Monte Maggiore. Questa specie di “confraternita” entrò subito in conflitto con i frati ed iniziarono numerosissime controversie tanto che fu costretto ad intervenire il Papa.

Nei primi anni del 1200 la comunità di Vienne era già diventata “religiosa” e sotto il pontificato di Innocenzo III avevano un loro superiore (in quegli anni tale Falcone) che volle staccarsi dai benedettini. Sembra che fu proprio lui ad iniziare la costruzione della nuova chiesa di S. Antonio ed il Pontefice Onorio III, nel 1218 gli riconobbe una certa autonomia dal monastero di Monte Maggiore e la possibilità del riconoscimento religioso ufficiale. Solo però nel 1297 i “frati spedalieri di S. Antonio” ebbero dignità di Ordine e si chiamarono, per volere di Bonifazio VIII “Canonici Regolari di S. Antonio da Vienne”, sotto la Regola di S. Agostino. Fu a quel punto che il loro Maestro poteva qualificarsi con il titolo di “Abate Superiore”.

La loro specificità fu da sempre legata all’abilità di curare la malattia del “fuoco sacro” di cui vi parleremo tra pochissimo.La loro fama di guaritori fu tanta e tale che si diffusero rapidamente in tutta Europa fondando chiese e ospedali ed organizzandosi, come già altri ordini monastici, in “Precettorie Generali o Maggiori”, il cui superiore rispondeva direttamente al Gran Maestro e in “Precettorie Subalterne o Minori”, dipendenti a loro volta dalle prime.

Il Dassy afferma che l’ordine di dignità dei Precettori, riferito in più luoghi, ci fa conoscere le case di maggiore antichità: “Ranversi (vicino a Torino), Flandrae, Parisiensis, Rostorf (Boemia), Tussiae (Tuscia), Chamberiaci, Hispaniae, Angliae, Urbis” etc etc….

La precettoria italiana più antica e più potente fu senz’altro quella di S. Antonio di Ranverso presso Torino, mentre quella alla quale apparteneva la dipendenza senese era quella della Tuscia. La “case” toscane appartenenti a questa precettoria “Tussiae” erano moltissime ed intorno alla metà del 1300 si ricordano senza ombra di dubbio: Firenze, Bolgheri, Campiglia, Firenzuola, Fivizzano, Lucca, Pescia, Pisa, Pistoia (la chiesa di S. Antonio fu fabbricata nel 1340), Ponsacco, San Miniato (detto ai tempi S. Miniato al Tedesco, il cui ospedale di S. Antonio fu fabbricato nel 1352), Montevarchi, Suvereto e naturalmente Siena. Il loro simbolo era una “Tau” azzurra con uno o tre fuochi (vedi figura), da non confondere con il simbolo dei Cavalieri di Altopascio molto simile (in più ha le conchiglie di San Jacopo ed il braccio verticale della “T” è rigorosamente a punta).

Nella seconda metà del quindicesimo secolo cominciò la decadenza dell’Ordine Antoniano, fino a quando Papa Pio VI, con Bolla del Primo Gennaio 1776, impose la fusione ed il confluimento di questo in quello più florido di S. Giovanni di Gerusalemme, detto ancora oggi di Malta.

Fuoco Sacro o Malattia di Ergot

Ma cosa era il “fuoco sacro”, detto anche «male degli ardenti»? Secondo le cronache del tempo questa malattia era molto dolorosa e causava delle piaghe (con conseguenti infezioni e necrosi), tanto gravi che, con il tempo potevano portare anche alla perdita delle dita di mani e piedi o all’amputazione degli arti per “gangrena”. Era molto diffusa nei paesi del nord, mentre meno nell’Italia meridionale. Gli “antoniani” divennero ben presto degli abili guaritori ed a loro gli ammalati si affidavano come unici specialisti in materia. Questa patologia, fin dalla fine del 1300, assunse il nome di “Fuoco di S. Antonio”, nome anche oggi in uso, ma per un’altra malattia infettiva derivante (come la varicella) da un Herpes. Si trattava invece di quella che nel 1943 fu identificata come “Malattia di Ergot” o “Ergotismo”. Questo morbo poteva presentarsi in due forme: “Ergotismus convulsivus” caratterizzato da sintomi neuroconvulsivi di natura epilettica, o “Ergotismus gangraenosus” caratterizzato da gangrena alle estremità fino alla loro mummificazione. Il tutto era dovuto all’ignaro consumo alimentare della “segale cornuta”, i cui alcaloidi sono resistenti anche alle alte temperature dei forni di cottura del pane. Questo fungo (protuberanza nera a forma di piccoli corni sulla spiga), attaccava ed ancora oggi attacca la segale. Contiene acido lisergico, il cui derivato (la dietilamide) è anche conosciuta come LSD. Tra gli effetti di questa intossicazione infatti, vi erano anche le allucinazioni. Questo portava la gente a mettere in relazione la malattia con il demonio o con forze maligne, non essendo conosciuta al tempo la causa di queste alterazioni ed era anche logico rivolgersi con maggiore propensione ai frati, che erano sicuramente bravi a guarire il corpo e l’anima. Sarebbe bastato smettere di mangiare i derivati della segale per guarire completamente, ma questo lo si capì molti secoli dopo.

Il fuoco, il maiale e la campanella

Le piaghe degli ammalati erano curate molto efficientemente dagli Antoniani con il grasso (grascia) di maiale, che fungeva da emolliente. Ecco perché ogni “precettoria” era dotata di un porcile e, proprio il maiale, diventerà nell’iconografia antica, il compagno prediletto di S. Antonio. Molti sono i quadri che rappresentano il Santo con un maiale ai piedi o addirittura in braccio. Assieme al maiale però erano quasi sempre anche altri due simboli inseparabili: il fuoco e la campanellina, in genere legata ad un bastone. Il fuoco o la fiamma naturalmente, rimandavano alla malattia di cui sopra, mentre la campanella era il simbolo dell’elemosina. Autorizzati perennemente da numerose bolle papali, i “frati antoniani” andavano spesso in cerca di elargizioni ed opere di carità agitando bastone e campanella per farsi riconoscere. Mentre è ormai abbastanza chiara e documentata la storia di questi cosiddetti “Antoniani”, un po’ più difficile è stato reperirne notizie dagli archivi senesi, ma soprattutto capire esattamente da quando si erano stabiliti a Siena e in quale luogo.

I Frati di S. Antonio di Vienne a Siena

Scriveva Giovanni Antonio Pecci, nel secondo volume delle sue “Memorie storico-critiche della città di Siena (edito nel 1755/pag.209), che nel 1526 l’Esercito nemico si era fortificato “dopo il Portone dipinto di Camollia (Antiporto), e dal Monte, dopo il Prato, restava dall’Artiglieria della Città sicuramente guardato, occupava le Case, ivi contigue, la Chiesa di S. Antonio di Vienna, e il Convento delle Monache di S. Petronilla, e distendendosi fino a Fonte Becci….”.

Un’altra notizia su quest’ordine ci proviene ancora dallo stesso G. Antonio Pecci, ma va estrapolata da un altro famoso trattato dal titolo “Storia del vescovado della città di Siena unita…” edito nel 1748 in Lucca (pag. XXX Dissertazioni). Secondo lo scrittore, la chiesa di Sant’Antonio di Siena sarebbe quella ora dedicata a San Bernardino all’Antiporto: “…perché se vogliamo intendere la Chiesa di Sant’Antonio, prossima alla porta della città, come credette l’Ughelli, è certezza che non prima del Decimoquarto Secolo (1300) fusse fabbricata, e intitolata di Sant’Antonio, e da poco tempo in qua mutato il suo titolo in San Bernardino, ed è quella, nella quale vi vennero ad abitare, e per qualche tempo vi dimorarono i Canonici di Sant’Antonio di Vienna.

Scrive invece Ettore Romagnoli nei suoi “Cenni storico-artistici di Siena e de’ suoi suburbj” (1836/1852) che la chiesa a lato dell’Antiporto non era quella degli Antoniani, ma era una cappella eretta nel 1498 da Alessandro Mirabelli, incendiata nel 1554.In questa Cappella vi andarono nel 1685 i confratelli della Compagnia di S. Bernardino che avevano uffiziato “fino al 1590 all’Osservanza”. Per il Romagnoli gli Antoniani ed il loro ospedale erano sì nel borgo fuori Porta Camollia, ma accanto allo “spedale di S. Croce in Jerusalem eretto nel 1296 da Ser Torello di Baccelliere”. Scrive infatti: “Contiguo al sunnotato Spedale di S. Croce era il Convento di S. Antonio di Vienna dei Padri Armeni, edificato nel 1308”.

Su dove fosse ubicato l’Ospedale di S. Antonio dunque continuiamo a brancolare nel buio. Personalmente credo che gli antoniani avessero qualche punto di contatto con gli ospedali vicino alla chiesa di S. Martino (Contrada Torre). Alcune tracce, nella fattispecie un paio di stemmi sui muri e un toponimo (ospedale di S. Antonio vicino a quello della Stella), mi porterebbero a collocarli istintivamente là, mentre non ho trovato collegamenti con la chiesa di S. Antonio che era nella contrada dell’Oca.

Se invece dovessi scegliere la zona fuori porta Camollia, sosterrei che Ettore Romagnoli si sbagliava nel collocarli accanto all’ospedale di Santa Croce perché i “Frati Armeni” o “Armini” o anche “Herminorum” sono tutt’altra cosa e tutt’altro Ordine. Detti questi ultimi “dalle lunghe barbe”, avevano una provenienza mediorientale e furono presenti a Siena fin dalla metà del XIII secolo, quando è testimoniata una loro “Societas Herminorum”. Nominati anche nel Constituto del 1309 e nei lasciti di Donusdeo Malavolti del 1348, sembra che inizialmente fossero ubicati vicino a Porta San Marco e che solo a metà del XIV secolo si stabilissero fuori Porta Camollia. Essi abitarono effettivamente accanto all’Ospedale di Santa Croce, ma non come sostiene qualcuno che fossero addirittura loro i “Frati di Santa Croce”. Infatti tra i sopracitati lasciti del 1348 risultano contemporaneamente e distinti tutti e due gli enti religiosi (frati armeni e frati di S. Croce).

Come si evince anche dagli studi di Brogini, l’ospedale e convento di S. Croce in Jerusalem erano vicinissimi a Porta Camollia, dunque sembrerebbe più valida la collocazione sostenuta dal Pecci, secondo la quale gli antoniani abitarono vicino all’Antiporto, davanti a Santa Petronilla.

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