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Camollia: "Cor magis tibi Sena pandit"

Il toponimo appare in "Villa que dicitur Camullja iuxta strata romea"

di Augusto Codogno

SIENA. Di “Camollia”, come luogo e borgo, si comincia a parlare nel lontano 1057, mentre la prima notizia sulla sua porta risale al 1082. Entrambe le citazioni provengono dalle carte della Badia di Passignano, Monastero dei Vallombrosani, che ebbe in questo Borgo numerose chiese e ospedali. Il toponimo viene alla luce in questo modo: “Villa que dicitur Camullja iuxta strata romea”. La prima curiosità è l’uso della parola “romea”, anziché “francigena”, a riguardo della strada che attraversava il borgo e solo un secolo dopo troveremo in auge il secondo toponimo, ad indicare la stessa strada. La necessità di proteggere il lato nord di Siena era dovuto essenzialmente al fatto che da sempre, i maggiori pericoli erano venuti da questo lato della città e da sempre, a generarli, fu la nemica storica Firenze. Anche la famosa battaglia del 1526, vinta dai senesi, ne è una delle testimonianze più famose; non a caso viene ricordata nella storia come “la battaglia di Camollia”.

Per cominciare è bene sgombrare il campo da alcune piccole inesattezze che, con il passare del tempo, si sono radicate nel comune parlare della gente, ma che non trovano alcun riferimento storico e documentale. La Porta Camollia che conosciamo oggi, non è quella originale, ma è il risultato di diversi rifacimenti architettonici. Il primo intervento ebbe inizio dopo la fine della guerra del 1552-1555, quando gran parte del borgo subì delle pesanti distruzioni che causarono, oltre al crollo di parte delle mura, anche l’atterramento di molte Chiese, Ospedali, Monasteri e Conventi. Sia dentro che fuori dalla porta, gli edifici ebbero talmente tanti danni dai bombardamenti e dalla guerra che, a fine conflitto, nel 1556, il Cardinale Mendoza, Governatore Imperiale “fece eseguire l’intiero disfacimento di ottocento case semidirute di questo Borgo”.

Dopo questo disastro, Il primo a “mettere le mani” su Porta Camollia fu il Casolani e, come ci dice Alberto Fiorini, in quel primo intervento “fu chiuso un varco laterale che era stato praticato nelle mura urbane sulla destra del barbacane per consentire il passaggio delle truppe vittoriose di Carlo V e di Cosimo dei Medici e fu rifatto completamente tutto il fronte delle mura, dalla piegatura verso Campansi, dove fu abbattuta una torretta di guardia, fino alla curvatura dal lato di Pescaia e oltre”. Con questo intervento ed il conseguente rialzo in mattoni, furono cancellati anche i merli che originariamente vi erano. Il Casolani creò una nuova porta che, guardando dall’esterno, era più a destra di quella antica. Della “vera” porta di Camollia restano, benché murata, ancora le tracce e la tamponatura, visibili sia internamente che esternamente ancora oggi.

Sull’antica porta di Camollia, nel 1310, due pittori senesi “Cecco e Duccio”, avevano dipinto una Madonna con vari Santi che poi, logorata dal tempo, fu rifatta da “Benedetto di Bindo”, anch’esso senese, nel 1415.

Era questa, spostata qualche metro più a sinistra, lato Campansi e sappiamo che anticamente era perpendicolare a Via del Pignattello e non come adesso, a Via di Camollia. Secondo il Gigli, questa nuova collocazione risale al 1604, quando, nell’occasione dell’arrivo del Granduca Ferdinando I, fu raddrizzata la strada dall’antiporto “dei Cappuccini” fino all’attuale nuova porta. Gli ornamenti marmorei furono fatti dal fiorentino Domenico Capo e fu in questo momento che comparve per la prima volta la scritta “Cor Magis Tibi Sena Pandit”, sovrastata dallo stemma mediceo. Il Casolani poi vi pose il trigramma di San Bernardino sia all’esterno che all’interno. Davanti ad essa, su due ali, vi pose due piedistalli con la lupa senese allattante i gemelli, come si può vedere anche da un dipinto del 1610 di Rutilio Manetti, ma anche dalla litografia ottocentesca di Alfred Guesdon (1808-1876). Questi piedistalli furono tolti nel XIX secolo. L’ultima modifica di porta Camollia si ebbe nel 1930, quando il Podestà Fabio Bargagli Petrucci fece aprire un primo varco a destra della porta per il transito dei pedoni e nell’occasione fu abbattuto un piccolo casotto ad uso dazio.

Anticamente, Porta Camollia era protetta da una prima “castellaccia” risalente al 1257 con l’aggiunta di due fortini bastionati che si spingevano fino ad una altra porta detta “Torrazzo di Mezzo”, perché posta tra la prima ed il suo antiporto ancora oggi esistente. Da un documento del 1257 infatti sappiamo che furono date a Simone di Bulgarino lire 150 per spenderle nei muri delle “castellaccia di Camullia, di S. Prospero e di Ovile”. Quindi, per chi proveniva da Firenze, le porte, almeno fino alla seconda metà del 1500 erano addirittura tre. La “prima castellaccia” a protezione di Porta Camollia veniva chiamata anche “castellaccia di San Bartolomeo” e prendeva il nome dalla chiesa esistente “intra moenia” che era ubicata non molto lontano dalla Magione. Questa piccola chiesa, con tanto di cimitero adiacente, era già presente nel 1235 e nel 1292 era già parrocchia. La sua cura d’anime si estendeva sia dentro che fuori dalle mura attuali. Nel 1562 fu riunita alla Parrocchia di S. Stefano e le sue “anime” distribuite tra le due parrocchie di S. Stefano alla Lizza e Santa Petronilla, a seconda se abitavano dentro o fuori dalle mura. La chiesa di San Bartolomeo dava anche il nome all’omonima “Compagnia d’Uomini” che in essa si riuniva ed aveva come insegna lo “scudo d’argento con due branche di Leone incrociate nere colle ugne rosse” (G. Gigli). Secondo Sigismondo Tizio, che in Camollia esercitò anche come prete, nel 1355 la custodia delle porte era così organizzata: “Societatis verò homines, quae est in Burgi, seù Vicis, & Castellacciis Camolliae ad Portam Camolliae exterius, Societatis S. Bartholomei ad ispsam Portam Camolliae interius. Societatis Mansionis Templi ad Portam Montis Guathiani..”. Altre compagnie in auge a quei tempi, come quella di San Sebastiano, quella di San Rocco e quella di San Sigismondo, si riunivano invece nell’ospedale di San Niccolò, accanto o davanti alla Magione. La chiesa di San Pietro alla Magione fu un antichissimo presidio dei Cavalieri Templari fino al 1312, quando, dopo l’editto papale di soppressione dell’ Ordine, passò agli Ospitalieri o Cavalieri Gerosolomitani come dir si voglia. L’importanza di questa “mansiones” continuò nel tempo e fu, con altre della nostra provincia (vedi Ponte d’Arbia e Poggibonsi) un punto di riferimento per i pellegrini che percorrevano la francigena.

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