di Silvana Biasutti
“… Da questa situazione deriva anche la sismicità di fondo che segna in continuazione l’intera Penisola con movimenti frequenti su valori tra due e tre gradi della scala Richter, che per fortuna non provocano danni e non fanno notizia, ma che testimoniano di una condizione del suolo sempre a rischio di cui essere coscienti.” Leggo questo brano da un articolo del Corriere della Sera del 25 agosto, a pagina 12 (“L’anomalia di una scossa poco profonda”). L’articolo sottopone al lettore la constatazione che ho trascritto, durante un’intervista a un ricercatore dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia.
Con gli anni anch’io ho imparato che l’Italia è tutta sismica; lo abbiamo imparato tutti e con questa peculiarità del nostro territorio dobbiamo (dovremmo) fare i conti. Con quest’ultimo terremoto ho anche capito che le variabili sono moltissime, che una scossa anche di forza media se ha l’epicentro vicino alla superficie può causare una tragedia.
Al fatto di vivere in zona sismica non davo peso, ma non davo nemmeno peso alla totale assenza di politiche di prevenzione, pur conoscendone l’inesistenza. Eppure avevo visto con i miei occhi i danni del terremoto a Tuscania, sentito scosse – a Milano – con mezza città in strada di notte, avvertito (fino a Milano) le scosse che avevano distrutto mezzo Friuli in una mattina di maggio, quarant’anni fa.
Ma, come molti, avevo vissuto decenni di accecante ‘crescita’, in cui tutto era (ed è tutt’ora, in generale) traguardato e pesato con criteri che sono vecchi, che parlano solo di un guadagno di denaro, nel cui nome abbiamo consumato aria, acqua, suolo, sottosuolo e inquinato buona parte dell’universo mondo.
Ora lentamente le cose stanno cambiando, con la crescita della consapevolezza (e con il suo diffondersi) di trovarsi in un ‘momento’ di transizione – da un tipo di crescita a qualcos’altro che ancora non ha contorni precisi – transizione non gestita dai governi, in tutt’altro occupati, ma sentita da molti cittadini (singoli e gruppi) che si stanno domandando che cosa bisogna fare per mantenere questa società in grado di sopravvivere e proseguire un cammino umanamente possibile.
Sono ormai tre decenni che si avvertono i segnali di questa riflessione: si sono intrecciati con allarmi di scienziati, smentite, altri segni, testimonianze illustri o di personaggi (vedere per esempio il drammatico film Trashed con Jeremy Irons e musica di Vangelis), programmi europei, buoni propositi.
In questo lasso di tempo è cresciuta anche una nuova agricoltura, che sta gradualmente eliminando i veleni che hanno ucciso il terreno e tolto sapore a quello che mangiamo; si è capito che l’acqua è un bene a cui abbiamo tutti diritto ma che dobbiamo rispettare e proteggere; sappiamo che i nostri rifiuti dovrebbero essere ridotti quantitativamente e raccolti in modo razionale e gestibile; abbiamo capito che il petrolio è una risorsa a tempo ed è una risorsa che inquina (e limita la nostra civiltà). Lentamente, in principio, queste riflessioni stanno cambiando le nostre idee di benessere e abbiamo capito che questo cambiamento va condiviso e governato, ma governato con uno sguardo diverso da quello che finora ha gestito l’esistente, con in mente le parole chiave “crescita” e “consumi” (una testimonianza di questo pensiero viene dalle ‘città in transizione’ che vanno organizzandosi con comunità aperte e non etichettabili).
Poi c’è il sottosuolo: se Gea fosse un organismo (difatti lo è!), il sottosuolo sarebbe la sua parte più misteriosa e meno controllabile, ed è difatti così (un po’ come la nostra psiche). Ogni terremoto lo testimonia e quest’ultimo ci tocca ancora più profondamente.
Leggendo i numerosi articoli e interviste, a geologi e vulcanologi, si ha la consapevolezza che camminiamo su un suolo delle cui viscere conosciamo poco, che non possiamo vedere, la cui struttura deduciamo dai segnali che appaiono in superficie – eruzioni, terremoti, bradisismo,… –.
Del sottosuolo davvero sappiamo di non sapere, o di sapere poco e comunque sappiamo di non essere in grado di prevederne i movimenti.
Ora, a ridosso di queste tragiche giornate (e notti) sentiamo promettere; questo è il tempo della solidarietà ed è anche giusto che in prima battuta si sia vicino, con le parole e con i fatti, a chi si trova terremotato. Ora è anche però il tempo di adeguare le scelte e le decisioni a queste nuove consapevolezze, cambiare l’idea che nel sottosuolo si possano fare buchi e cavare risorse “perché lì ci sono”. Prima viene la sicurezza, ce lo dice il terremoto, ancora una volta.
