Lo avrebbe rilevato uno studio epidemiologico del 2010 prodotto dall'ARS Toscana, dalla Fondazione Monasterio e dal CNR di Pisa
Pretty young teenage girl laying on a grass di Fabrizio Pinzuti
PIANCASTAGNAIO. Non nascondo di essere rimasto un po’ sconcertato di fronte alle affermazioni, in interviste e pubbliche assemblee, di qualche medico che ha definito un mistero (sic) la maggiore incidenza dei tumori nelle aree geotermiche dell’Amiata e delle Colline Metallifere sugli uomini rispetto alle donne, incidenza rilevata in uno studio epidemiologico del 2010 prodotto dall’ARS Toscana, dalla fondazione Monasterio e dal CNR di Pisa, pubblicato sulla rivista scientifica Epidemiologia e Prevenzione del 2012. Non pochi i limiti e le riserve espressi da alcuni rappresentanti del mondo scientifico sulle conclusioni rassicuranti espresse dall’ARS (Agenzia Regionale Sanità) nello studio: mancata indagine di tutti gli inquinanti, tra cui il radon, mancata valutazione degli effetti cumulativi dei vari inquinanti, mancata georeferenziazione della popolazione esposta e di controllo, aggregazione di valori differenti con la possibilità di diluizione della loro indicatività, di mascheramento di alcuni rischi e di non corretto riconoscimento e quantificazione dei danni subiti.
La letteratura e la bibliografia in proposito, tra cui gli studi di Valerio Gennaro responsabile del dipartimento epidemiologia dell’istituto tumori di Genova, sono pubblicate nella rivista “Medicina Democratica”, marzo-dicembre 2013, pagg. 87-98. Non è forse un caso che l’ARS abbia commissionato una nuova indagine. E’ comunque certo che dall’analisi dei dati disaggregati dello studio emerge che nei maschi residenti nei comuni geotermici dell’area dell’Amiata si registra un eccesso statisticamente significativo della mortalità per tutte le cause del 13%. Per tutti i tumori, sempre nei maschi, sono segnalati eccessi (circa il 30%) statisticamente significativi in tre paesi: Piancastagnaio, Abbadia San Salvatore e Arcidosso, i più vicini agli impianti geotermici. L’ipotesi espressa nello studio dall’ARS che tali fattori siano da ricondurre ai cosiddetti “stili di via” (eufemismo per indicare l’ingombrante e disadatto cliché del montanaro che eccede nel mangiare e nel bere e che si abbandona ad altre “intemperanze”) era già stata confutata da un ricercatore della stessa ARS, Fabio Voller, nello studio “Le Informazioni Sugli Stili Di Vita”, ottobre 2012 e altri studi avevano anzi accertato la positività della diffusione tra le popolazioni dell’Amiata di pratiche salutistiche, quali la coltivazioni degli orti o la ricerca dei funghi e altri frutti del bosco e sottobosco. Secondo studi citati nelle varie conferenze sulla geotermia dal professor Andrea Borgia, fino al 1970 il livello di salute degli amiatini era più elevato che in altri parti della Toscana, nonostante l’incidenza degli infortuni e delle malattie professionali dipendenti dall’attività mineraria (silicosi, broncopneumopatia da silicati e calcare, idrargirismo, ipoacusia da rumore, angioneurosi da strumenti vibranti, ecc.).
Viene spontaneo chiedersi cosa può aver determinato il peggioramento che lo studio stesso testimonia, visto che l’attività minero-metallurgica, possibile fonte di inquinamento e causa dei tumori, è del tutto dismessa dal 1976 e che i suoi effetti erano limitati, o comunque prevalenti, tra gli addetti alle lavorazioni, mentre negli ultimi decenni la diffusione e l’incremento di malattie e tumori sono generalizzati. Anche nell’ultima giornata di studio del 2 dicembre scorso il professor Borgia ha precisato che l’incremento dei tumori a Piancastagnaio è coinciso con l’attivazione delle centrali PC3, PC4 e PC5 e con il deterioramento progressivo dei pozzi di estrazione; ad Arcidosso l’incremento è arrivato in coincidenza con l’apertura della centrale di Bagnore 3 e che dopo l’attivazione di quella di Bagnore 4 si è registrato un incremento immediato dell’uso dei farmaci. Viene dunque altrettanto spontaneo chiedersi se, insieme agli effetti di pregresse attività, di siti minerari ancora da bonificare e di cause naturali, anche le emissioni delle centrali geotermiche abbiano avuto un loro ruolo nell’aumento di malattie e tumori, anche in considerazione che alcune delle sostanze (come il mercurio, il radon e l’arsenico, presente a lungo anche nell’acqua potabile) rilasciate in atmosfera dalle centrali, accertate e quantificate dall’ARPAT, sono state riconosciute come cancerogeni di prima classe dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS).
Per tornare allo sconcerto di cui parlavo all’inizio, ricordo di aver letto in pubblicazioni di cui non rammento il nome che la donna è maggiormente protetta e che anche gli Empirici riconnettevano la sua maggiore salute e longevità all’istinto di autoconservazione di tutte le specie in natura, che non poteva non privilegiare la funzione riproduttiva e quelle conseguenti o collaterali (accudienza, protezione, crescita della prole), della femmina rispetto a quella inseminativa del maschio Da qui i casi limite di alcuni insetti che scacciano e anche uccidono i maschi una volta che questi hanno fecondato la femmina (mantide religiosa, api e tarantola che a questo deve l’appellativo di vedova nera).
Recentemente da una nota dell’Associazione per la ricerca sul cancro (AIRC) relativa a uno studio condotto dall’IFOM di Milano (Istituto FIRC di Oncologia Molecolare, centro di ricerca no profit ad alta tecnologia dedicato allo studio della formazione e dello sviluppo dei tumori che svolge e promuove la ricerca scientifica e la formazione nel campo dell’oncologia molecolare, nelle sue prospettive di applicazione nella clinica, a beneficio dei pazienti oncologici) sul ruolo dei due geni BRCA1 e BRCA2 nella diagnosi dei principali tumori femminili e maschili e sull’individuazione di nuove molecole da sperimentare nella lotta al cancro della mammella e dell’ovaio – studio pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica Molecular Cel – sono risalito a un lavoro che rivela una presenza maggiore di geni protettivi nelle cellule degli organismi femminili e che il cancro è più comune negli uomini per la differenza nel codice genetico. Si tratta di uno studio congiunto, effettuato da ricercatori del Dana-Farber cancer institute, del Massachusetts General hospital, di Harvard e del Massachusetts Institute of Tecnology, che, date le mie limitate conoscenze e competenze in proposito, non posso che proporre nelle sue linee essenziali (lo si può consultare in tg24.sky.it del 22 nov 2016.
Uomini più colpiti delle donne – Secondo i dati del National cancer institute statunitense, i nuovi casi di cancro ogni anno sono 150mila in più negli uomini che nelle donne e gli organismi maschili hanno il 20% di possibilità in più di sviluppare un tumore. In Italia secondo i dati del 2016, forniti dall’Associazione italiana registro tumori, si contano 13mila casi in più negli uomini rispetto alle donne, ma il gap sta diminuendo (nel 2015 erano 26mila in più). “In alcuni tipi di tumore la differenza può essere minima – ha spiegato a “Medicalxpress” il ricercatore Andrew Lane del Dana-Farber Cancer Institute – mentre, in altri, gli uomini colpiti sono il doppio o il triplo rispetto alle donne”.
In passato spiegazioni insufficienti – Nel passato erano state proposte spiegazioni basate soprattutto sui differenti stili di vita delle persone di sesso diverso: secondo queste teorie gli uomini erano più soggetti all’insorgenza del cancro perché fumavano di più o perché erano maggiormente esposti ad agenti chimici durante il lavoro. Le proporzioni non sono però cambiate al variare del tasso di donne fumatrici, né con l’aumento dell’occupazione femminile negli Stati Uniti. Un altro dato che ha fatto insospettire i ricercatori riguarda la disparità nell’insorgenza del cancro fra ragazzi e ragazze, che ricalca quello fra uomini e donne adulti: se la predisposizione dipendesse dallo stile di vita, questo non dovrebbe accadere in maniera così rilevante.
I geni anti-cancro – Le donne, in realtà, sono meno soggette alla contrazione di tumori perché il loro corpo dispone di un numero maggiore di geni protettivi. L’esempio più chiaro riguarda un gene chiamato Kdm6a e situato nel cromosoma X. Si tratta di un gene soppressore del tumore, che previene la riproduzione incontrollata delle cellule tipica del cancro. In diversi casi una mutazione del gene elimina il meccanismo di controllo, permettendo la diffusione della malattia. La mutazione può avvenire sia negli organismi femminili che in quelli maschili, ma nelle donne entra in gioco una “copia” del gene, che risiede nel cromosoma X dormiente. Le cellule maschili hanno cromosomi XY e quindi non dispongono del gene “di riserva”mentre i geni del secondo cromosoma X femminile vengono generalmente “disattivati”, ma alcuni di essi riescono a sopravvivere. Una ricerca effettuata su 4mila esempi di cellule tumorali e 21 tipi diversi di cancro ha mostrato come i geni più soggetti a mutazione si trovino sul cromosoma X e diversi di questi siano, come il Kdm6a, geni “Exits”, ovvero soppressori del tumore che non si disattivano (Escape from X-inactivation tumor suppressors). In pratica, conclude Lane, “le copie funzionanti di questi geni garantiscono alle donne una maggiore protezione, che aiuta a spiegare l’incidenza più bassa dei casi di cancro”.
