di Silvana Biasutti
SIENA. Qui in Toscana vi siete mai chiesti perché questa regione – soprattutto alcune sue parti – è così ammirata e così ricercata, anche (inevitabilmente) come meta turistica?
Lasciatemi condividere alcune considerazioni, con chi legge e soprattutto con chi pensa che questa regione – e l’Italia tutta – siano un patrimonio che può essere fonte di reddito, ma anche (e proprio in quanto ‘capitale’) un bene da tutelare.
Parliamo dunque dal paesaggio, che coincide in gran parte con l’ambiente, e con la nostra salute. Salute del corpo e della mente. Perché vivere e lavorare in un bel luogo aiuta a vivere meglio. È per questo che quando si va in vacanza si cerca un “bel posto”, anche se scriverlo può sembrare una banalità.
Un vecchio podere nel paesaggio toscano è (stato, ormai) una parte dei luoghi; ormai un podere – come ce n’erano molti fino a poche decine d’anni fa – è diventato una rarità. Troppi, nel restauro indispensabile a renderli abitabili con criteri contemporanei, sono stati ristrutturati senza tener conto della loro anima, cioè della loro storia. E questo è un segnale di un’inconsapevolezza – ma talvolta della faciloneria o dell’ignoranza – con cui le case poderali, abitate per secoli da quelli che lavoravano la terra, hanno frequentemente perso il loro carattere e si è rotta la loro armonia con ciò che le circonda.
So benissimo che il crinale su cui cammino è un argomento che tocca nel vivo e punzecchia i discendenti delle grandi famiglie toscane – i datori di lavoro di quelli che per secoli hanno abitato i poderi – e tocca anche gli amministratori e i politici che hanno governato questa regione per decenni. Infatti entrambi i ‘target’, con alcune meravigliose eccezioni, hanno fatto molto per interesse (soprattutto gli amministratori).
Raramente si è pensato al futuro, se non a quello dei propri figli, in senso stretto.
Perché è vero che il paesaggio è frutto dell’uomo, anzi del lavoro dell’uomo sulla terra. Ed è verissimo che il paesaggio cambia, si evolve, proprio come cambia il lavoro degli uomini sulla terra in cui gli è dato di stare.
Ma proprio per questo, quando si ha la ventura di stare in luoghi di rara bellezza, le scelte devono tenerne conto e non possono in alcun modo dipendere dalla resa elettorale legata alle licenze di fare qualsiasi cosa, solo perché così – al momento – si incassa. Come non possono solo essere legate alla fortuna di un prodotto (anche se tipico), che ha ‘bisogno’ di fare numeri, e che per farli spiana le colline e si scorda che il profilo di un colle può raccontare qualcosa in più, e di più duraturo, rispetto a quello che si offre nel piatto o nel bicchiere all’avventore.
So benissimo che questo è un terreno insidioso, ma mi ci avventuro ugualmente; perché certi prodotti – e ancora di più certi percorsi, vedi via Francigena – non possono essere vittima di ‘posti di lavoro’ a tutti i costi, e neanche della ‘condivisione’ indiscriminata con chicchessia. Classismo? No: buonsenso.
Buonsenso che deve escludere l’avidità e che deve guardare alla vocazione che dobbiamo tornare a chiedere a chi pensa di lavorare in politica.
Ritorno al podere. Sappiamo perché questa casa rurale così scomoda è (stata) così affascinante per quelli che venivano da nord e da oltremare, tanto da indurli a scegliere di spendere qui, pur di poter tornare avendo un luogo di riferimento ideale. Ideale è l’aggettivo esatto, che poi deve farei conti con i numeri dell’economia, anche con quella (troppo) ruspante, che ha impiegato alcuni decenni a svegliarsi e accorgersi dei valori in cui era immersa, e che quando si è svegliata ha colto sono il valore, al singolare, pensando che – miracolo! – bastava moltiplicare, trascurando ‘come’e con quali idee nella testa e fare tante casette nello stesso contesto – così apprezzato – per ricavare soldi o consenso: meglio entrambi.
Perciò mi è anche capitato – facendo l’assessore e proponendo la Francigena (allora, nel 2004, pressoché sconosciuta localmente) – che il primo pensiero degli interlocutori sia stato immaginare di costruire delle piazzole attrezzate (manco fosse un campeggio) e dotate pure di cessetti, perché “non tutti sono disposti a fare pipì dietro un cespuglio”. È successo davvero ed è stato anche accompagnato dalla considerazione che così si dava lavoro, politicamente parlando … E non si è pensato che il lavoro sarebbe stato indotto dal passaggio e dalle soste – non irreggimentate, né politicamente corrette – di persone in cui era nato il bisogno di camminare, verso qualcosa, per ritrovare sé stesse. E non per seguire suggestioni di amministratori più inclini a vedere il ‘quanto’ anziché cercare di capire il ‘perché’ e perciò fare politica (cioè parlare alla gente) chiamandola a osservare quale bellezza (per dirla in modo pop) avessero per le mani e come tutelarla e proporla al visitatore in modo ‘alto’.
È lo stesso spirito con cui restaurando un podere lo si è ristrutturato, senza pensare che quello che aveva affascinato il viandante e il visitatore fosse il suo minimalismo, la sua non pretesa di apparire tipico, né elegante, né – tantomeno – di parlare dello stile di vita del proprietario.
Lo spirito dei luoghi è stato ampiamente tradito da un’esuberante voglia di approdare all’effimero tavolo del benessere. Più vani, più ospiti; più bottiglie più soldi; più presenze, più fatturato: ma questa non è una logica che dà spazio a un futuro di benessere, perché quello che ha motivato l’affluenza di presenze turistiche (purtroppo anche inadeguate) è lo spirito dei luoghi. Qualcosa che rimanda a un pensiero umile e alto, allo stesso tempo. Nulla a che fare con il classismo come l’ha inteso troppo spesso la sinistra meno colta e più pronta ad arruffianarsi le masse.
Insomma c’è un grosso equivoco culturale sullo sfondo. Il paesaggio non è cosa da ‘signori’, come accusa, con una certa faciloneria, chi vuole togliere di mezzo certi vincoli; ma il paesaggio non è nemmeno cosa da ‘sciurette’, cioè da gente che vuole lasciar fare (magari in cambio di consenso) a chi ha fretta di fatturare; gente – questi e quelli – che non ha la capacità di capire che non capisce e che occuparsi di un bene così importante com’è il paesaggio, richiede uno scambio continuo con competenze e con esperienze diverse.
Non è pensabile continuare a lamentare la distanza tra la gente e i politici senza preoccuparsi della impreparazione e della inadeguatezza di questi ultimi.
Da quest’anno, il paesaggio avrà una giornata dedicata; qualcosa che può avere un significato solo se servirà a studiare e a capire come muoversi per metterlo a disposizione senza lasciare spazio a interessi speculativi o illeciti. Chi amministra deve trovare la spinta a coltivare la conoscenza, deve diventare competente ed essere in grado di spingere una comunità a scegliere il meglio per un futuro a lunga gittata, per un futuro di tutti, non solo per sistemare i propri figli.
Ma se del paesaggio futuro non se ne occupa la politica, chi altro dovrebbe farlo?
