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Fracking: quel che non si dice e quello che non si sa

Una ricercatrice italiana sostiene che questa forma pericolosa di estrazione sia stata e sia ancora adesso praticata in Italia

di Fabrizio Pinzuti

AMIATA. La Commissione Ichese, incaricata di far luce sulle cause del terremoto dell’Emilia nel 2012, ha ammesso come tutt’altro che teorica la possibilità di un collegamento tra il sisma e l’attività di fracking (da hydraulic fracturing, letteralmente fatturazione idraulica, in pratica tecnica per estrarre gas contenuti in certi tipi di rocce presenti nel sottosuolo, che consiste nel frantumarle bombardandole con getti di acqua mista a sostanze chimiche). I lavori della Commissione sono stati lo spunto per altri interrogativi: sarà un caso che la terra abbia tremato laddove è stata esercitata questa pericolosa tecnica estrattiva? e se non è stato il fracking, a quale altra causa può essere ricondotto il movimento tellurico in una zona geologicamente stabile e mai interessata da fenomeni sismici? Una correlazione diretta tra sismicità e fracking è stata invece stabilita con certezza, e non solo ipotizzata, in altri casi ed è per questo che il fracking è stato messo al bando in molti stati, anche per la distruzione delle risorse idriche di falda e la risalita in superficie di rifiuti tossici, senza poi contare che in più di un caso i costi sono risultati superiori ai ricavi. Non minori danni ambientali derivano da tecniche affini, derivate o “sorelle” del fracking.  E’ il caso dell’ EGS (Enhanced Geothermal Systems) definito anche dall’autorevole The Economist come fracking geotermico, adottato anche dall’’ENEL secondo le sue stesse ammissioni in un convegno internazionale sulla geotermia tenutosi ad Orleans, in Francia, tra il 12 e il 15 febbraio 2006. Vi ha partecipato, per conto dell’Enel, Guido Cappetti che con una eloquente presentazione ha mostrato i mirabolanti risultati ottenuti su pozzi che andavano declinando, attraverso una ‘stimolazione chimica’ ad alta pressione.

L’EGS è la tecnica che è stata usata anche a Basilea, in Svizzera, e che ha provocato sismicità fino a magnitudo 3,4 nel 2006, inducendo autorità e imprese a cessare le attività ed abbandonare il progetto geotermico. Dalle slides pubblicate sul sito della conferenza di Orleans salta agli occhi anche dei profani che: lo sfruttamento intensivo porta all’esaurimento, o meglio alla forte riduzione, della produttività dei pozzi; per far aumentare tale produttività si è fatto ricorso all’iniezione a pressione di una miscela di acido cloridrico e fluoruro di idrogeno (HCl e HF) con acqua; tale pratica è stata sicuramente usata nell’area nord di Larderello-Travale, ma anche nel pozzo Bagnore 25 e nessuno può garantire che non venga tuttora utilizzata per ‘rianimare’ i pozzi che perdono potenza, visto che l’Enel mantiene uno stretto riserbo sulle attività interne alle centrali. In pratica, smentendo alcune sue precedenti asserzioni, l’ENEL stessa afferma che la geotermia è tutt’altro che rinnovabile.

“Sarebbe doveroso, oltrettutto”, affermano studiosi e comitati ambientalisti di SOS Geotermia, “che l’Arpat, ma anche l’Ars e i sindaci per gli aspetti sanitari, chiedessero ad Enel tutti i dati delle operazioni e delle sostanze utilizzate nelle centrali amiatine, e non solo, e che rendessero pubblici tali dati, compresi quelli sulle quantità di ‘vapore’ estratto che è necessario per valutare correttamente il bilancio idrico che proprio per questo motivo probabilmente non è mai stato fatto né mai si farà, nonostante le imposizioni di legge”. Una delle ricercatrici più attente in questo settore, Maria Rita D’Orsogna, fisico e docente universitario, laureata a Padova e attualmente attiva a Los Angeles, impegnata sul fronte scientifico e anche su quello politico-sociale e dell’informazione, nel suo “No all’Italia petrolizzata” è arrivata alla conclusione che il fracking è stato ed è praticato in Italia più di quanto si possa supporre, anche in zone impensabili, come Ribolla, paese delle Colline Metallifere in provincia di Grosseto, nel 2009. Uno dei suoi punti di partenza è stato sfatare la comune ma infondata convinzione, anche presso gli ambienti accademici, che non ci sono operazioni di fracking attive in Italia”, come ha sostenuto un docente universitario. Sulla materia c’è stato fino a poco tempo fa un silenzio di tomba e si è pensato che non si facesse fracking in Italia perché non era scritto né se ne parlava da nessuna parte, né nei siti governativi, né in quelli delle ditte petrolifere e perché il nostro governo non ha mai detto niente su questo fracking, sui siti di reiniezione, sullo stoccaggio di gas che non fosse qualcosa di rassicurante. Ad aprire una breccia sul silenzio imperante è arrivata però un’inchiesta della magistratura su “trivellazioni abusive”, ma intanto giornalisti, opinionisti e politici hanno detto a lungo che è tutta colpa dei complottisti, che è tutto a posto, che va tutto bene.

Studiando le carte di lavoro e i permessi rilasciati, la D’Orsogna dimostra che la ditta che ha avuto la concessione e che ha fatto fracking a Ribolla, la Erg Storage Rivara, di proprietà della Erg, una società italiana che la detiene al 15%, mentre il restante 85% è di proprietà della ditta inglese Indipendent Resources, creata nel 2005, è la stessa, pur se camuffata da un gioco di scatole cinesi di consociate, controllate, partecipate e dizioni simili, che ha chiesto, anche se non ottenuto, di fare fracking a San Felice Sul Panaro, in Emilia, in un programma che prevede di usare “l’Italia come autostrada del gas e come parcheggio”. La ditta aggiunge che il posto è idoneo “perché la struttura sarà grande, le unità costeranno poco, la posizione è ideale lungo “l’autostrada del gas” e perché sarà più facile stoccare e erogare gas con le loro nuove tecniche che differiscono da quelle “convenzionali”.

Tra le tante carte ufficiali consultate dalla studiosa anche una dove si afferma che “al momento, il cuore delle attività di sviluppo della Indipendent Resources include un importante centro di stoccaggio sotterraneo di gas, una nuova sorgente di gas non convenzionale in terraferma in Italia e una nuova sorgente di petrolio convenzionale in Tunisia”. Ma “unconventional gas” vuole dire una cosa soltanto: fracking. Andando avanti vi si legge: “Ribolla Basin Shale Gas Play… Durante il 2008-2009 la Indipendent ha registrato un totale di 66 km di sismica 2D e ha trivellato il pozzo FB1 nell’Agosto del 2009. Il pozzo FB 2 (di cui il target era a 340 metri di profondità, 1100 piedi), è stato trivellato successivamente per testare la produttività del carbone nella parte bassa del giacimento, dove il carbone e lo scisti sono stati trovati essere saturi di gas. Un intervento di hydraulic fracturing, assieme ad un proppante ceramico, disegnato per aumentare la produttività è stato seguito da un test di produzione di sette settimane”. La Indipendent ha operato su una licenza, la “Fiume Bruna”, ottenuta dal governo italiano nel 2005. “Ha un’area di circa 247 chilometri quadrati, dove a suo tempo c’era una miniera di carbone gestita dalla Montecatini. Dal 1839 al 1954 l’area è stata una delle più importanti zone minerarie d’Italia. Era tristemente nota anche per le ripetute fughe di gas metano dal carbone. Infatti la miniera fu chiusa proprio in seguito ad una forte esplosione causata dalle fughe metanifere il 4 Maggio 1954. Morirono 43 persone. E’ stato il più’ grande disastro minerario d’Italia. La Montecatini sborsò qualche soldo e il processo si concluse con l’assoluzione di tutti e con la catalogazione del disastro come mera fatalità”, scrive la D’orsogno.

La variante tecnica del fracking usata a Ribolla è denominata Coal Bed Methane, considerato il “fratello cattivo” del fracking “normale” – the evil twin of shale gas – perché i giacimenti sono più vicini alla superficie, a circa 1000 metri al massimo, e dunque è più facile inquinare le falde acquifere.  L’unica cosa buona e’ che non c’e’ idrogeno solforato in questo Coal Bed Methane, ma questa e’ ben magra consolazione. Se ricordiamo i terremoti dell’Inghilterra, a Blackpool, quelli collegati al fracking, viene fuori che erano proprio dovuti alle estrazioni di Coal Bed Methane – abbreviato in CBM – e di carbone attorno a 4,000 piedi (circa 1,200 metri) di profondità, rimuovendo l’acqua che sprigiona il metano intrappolato. E’ una tecnica controversa e in disuso negli USA, bandita in Francia e sotto esame in Germania e nel Regno Unito. Insomma lo stesso metano incastrato nel carbone che ha fatto morire le persone nel 1954, è stato visto come una sorgente di energia “estrema”, da sfruttare al meglio, come dimostrano gli interessati comunicati agli investitori.  Si chiede la D’Orsogna: “Perché il nostro governo ha dato le licenze senza dire niente alla gente? Lo sapevano i nostri ministri cosa era il fracking, il coal bed methane, il proppante mentre gli dicevano si? Quando ci decidiamo a regolamentare le estrazioni di gas con il fracking in Italia?

Sarebbe logico, in un paese normale, bandire, o quanto meno sospendere, adottando il principio di cautela raccomandato anche dalle Nazioni Unite (“nel dubbio astenersi”), queste tecniche di estrazione, pericolose e funzionali solo agli speculatori di paesi lontani, a detta non solo della D’Orsogno. Invece con il recente decreto “Salva Italia”, non a caso ribattezzato “Salva Trivelle”, di fatto si è aperto a un’altra tecnica non meno pericolosa, secondo molti scienziati, l’airgun (in inglese arma ad aria [compressa], strumento usato in geofisica e in particolare nelle prospezioni geofisiche come mezzo di generazione di onde compressionali, attraverso un compressore che crea e quindi fa esplodere una bolla d’aria sott’acqua, ndr) prima e alle trivelle dopo in Puglia, in Abruzzo, in Calabria, in Veneto, nelle Marche, in Sardegna, in Sicilia, anche sottocosta. Dalla padella alla brace. Difficile non convenire, anche se si cerca di non fare dietrologia, con la D’Orsogno quando si chiede “perché il buonsenso sia cosi lontano dalle menti di questi nostri governanti. Forse perché ignoranti della materia e vicini al potere, ai soldi, alle lobby, alle tentazioni delle multinazionali, per cui il paesaggio, i cittadini, la bellezza, non contano nulla”.

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